Le riflessioni connesse a Dio sono tra quelle con cui ognuno si è confrontato e si confronta. Il contributo che i filosofi hanno apportato lungo la storia è notevole e indubbiamente in ognuno sono seminate scaglie di verità. Spesso il compito del lettore è quello di ricostruire un’immagine non più integra.


Feuerbach è tra quei pensatori che ha contribuito special modo attraverso la rivisitazione del suo pensiero operata da Marx. Ci permette di dispiegare la ricerca provando e “riprovando” galileianamente (1) tesi e argomentazioni.



“Tu credi che l'amore sia un attributo di Dio perché tu stesso ami, credi che Dio sia un essere sapiente e buono perché consideri bontà e intelligenza le migliori tue qualità. […] l'esistenza di Dio, anche la fede nell'esistenza di un qualsiasi dio è un antropomorfismo, una proiezione assolutamente umana.
L'essenza del cristianesimo, Feuerbach

Il brano riesce ad essere emblematico del pensiero di Feuerbach, mettendo a fuoco il nocciolo della sua filosofia materialista, che Dio non esiste se non come illusione della coscienza e del pensiero umano, che proietta in esso i propri attributi.

Il sentimento di dipendenza dell’uomo è il fondamento della religione; l’oggetto di questo sentimento di dipendenza, ciò da cui l’uomo dipende, e si sente dipendente, non è per altro, originariamente, che la natura.
L’essenza della religione, Feuerbach

E’ bene fin da subito onde evitare un facile slittamento di binari, distinguere il “problema dell’esistenza di Dio” e il “problema sulle qualità di Dio”. Il primo problema naturalmente fa da substrato al secondo, seppur necessariamente emergano forti intersezioni tra i due.


Feuerbach prende una posizione netta riguardo a entrambi ponendosi nella posizione di chi nega l’esistenza di Dio. Non è Dio ad aver creato l’uomo bensì l’uomo ad aver creato Dio, il quale è un prodotto della coscienza umana e le qualità che a questo attribuiamo sono proiezioni di attributi umani resi perfetti. Focalizzato questo Feuerbach si chiederà il perché nasca l’idea di Dio soffermandosi su diverse analisi (distinzione individuo-specie, opposizione volere-potere, dipendenza di fronte alla natura).

Portato spesso a vessillo del “dover morale” di essere ateo, il pensiero di Feuerbach mostra però vizi non indifferenti.

La critica fondamentale che in tanti hanno mosso è di carattere metodologico che inficia e svuota le sue argomentazioni.
Feuerbach argomenta muovendo un’analisi di 
tipo psicologico che non confuta le tesi che la religione porta a suo favore ma cerca di minarla nelle fondamenta, commettendo però l’errore di screditare la possibilità che ha l’uomo di approcciarsi a Dio senza essere succube del carattere totalizzante dei suoi bisogni.
Quanto segue cecherà di mettere in luce quanto questo vizio fa perdere al discorso ogni valenza sul piano teoretico.


Ipotizziamo che sia veritiera la tesi feuerbacchiana per la quale è l’uomo a crearsi un Dio con tutte qualità umane. Così posto si dispiegano due scenari possibili:

   Il primo nel quale Dio effettivamente non esiste e non rimane altro che quanto detto da Feuerbach, cioè che Dio è solo il prodotto dell’uomo.

   Il secondo nel quale Dio effettivamente esiste e continua ad essere vera la tesi di Feuerbach, che l’uomo si crea attraverso la sua coscienza un Dio e gli attribuisce determinate qualità.

Che entrambi gli scenari siano concepibili senza contraddizioni logiche fa emergere il vizio di fondo che permea le argomentazioni di Feuerbach.


Il fatale inghippo nasce dalla sottaciuta ma implicita condizione necessaria per cui, riguardo a Dio è vero che un bisogno crea l’oggetto del desiderato, intaccandone l’ontologia.
Ma esplicitata, risulta evidente quanto accettare una simile condizione porti inesorabilmente a situazioni inconcepibili.

In ogni uomo esiste ed è direttamente percepibile la necessità di mangiare, la fame.
Secondo il 
modus agendi feuerbacchiano dovremmo sostenere che non c’è possibilità che esista del cibo perché sarebbe solamente frutto della nostra immaginazione, un miraggio, condizionato dal bisogno impellente di mangiare.
L’esempio mette chiaramente in luce come 
l’esistere non possa dipendere dai bisogni umani
Ragionevolmente si potrebbe sostenere che il mangiare da qualche parte possa –non debba- esistere, e mossi da questa possibilità intraprendere una ricerca.

Inoltre se è innegabile che esperire Dio è ben più difficile che esperire una persona, mai nessun innamorato ha pensato che l’esistenza del soggetto del proprio amore potesse dipendere dall’amore stesso che egli provava o dal bisogno che aveva di quella persona.
Chiaramente l’esempio non vuole avere carattere probativo ma aiuta a cogliere da diverse prospettive le contraddizioni ontologiche cui porta un metodo simile.

Altresì potremmo adoperare lo stesso metodo per ogni argomentazione che vuole sostenere una tesi riguardante l’uomo.
Le stesse tesi di Feuerbach potrebbero così essere soggette allo stesso trattamento.
Nessuno vieta di pensare che l’avversione di Feuerbach sia una pretesa d’indipendenza mossa dall’esigenza di sentirsi autonomi e autosufficienti, basti pensare alla nascita del peccato originale nella Bibbia per capire quanto arcaico e insito nella natura umana sia questo desiderio (a prescindere dalla propria aderenza al testo sacro è largamente condiviso il suo valore 
esistenziale). 
Ma non penso che Feuerbach si compiacerebbe se invece di giudicare le sue ragioni giudicassimo solamente il contesto da cui scaturiscono.

Naturalmente un discorso di questo genere non confuta le tesi di Feuerbach, come le tesi di Feuerbach non minano in alcun modo la possibilità di creare un discorso 
ragionevole su Dio.

Sintetizzando quanto detto fin ora:
  •  Le tesi di Feuerbach potrebbero valere anche nel caso in cui Dio esista.
  •  Il bisogno di qualcosa non può dirci niente di certo riguardo l’esistenza dell’oggetto desiderato, né tanto meno sulle qualità di questo.

Questo non dimostra che Dio esista, ma che questo modo di procedere non ci dice assolutamente niente riguardo l’esistenza o la non esistenza di Dio.

E’ comunque doveroso dover riconoscere al discorso sostenuto da Feuerbach (e da Marx che adopera lo stesso metodo) la capacità di metterci in guardia dal correre un rischio reale ma da cui possiamo preservarci. Proprio Feuerbach ci testimonia la possibilità di non essere necessariamente vincolati dai nostri bisogni e ha fiducia nella capacità di non essere succubi di questi.
Resta quindi il dovere di 
onestà intellettuale cui ci richiamano queste tesi, non essere avventati e superficiali come purtroppo oggi accade proprio nei discorsi di tanti credenti nei quali la fede e il rapporto con la religione più in generale è ormai cancrenizzato nell’abitudine e spesso ha perso la capacità di cogliere quanto c’è di rivoluzionario e di nuovo rispetto al modo di pensare del “vecchio uomo”.

Fa riflettere che la cosa più istintiva è quella di pensare che se si manifesta in me un bisogno probabilmente – ma non necessariamente - possa esistere qualcosa che lo soddisfi, sarà poi la mia ricerca a confermarmi o smentirmi.

Se oggi accade il contrario, la ratio di questo timore va ricercata tra ragioni dispiegate lungo la storia per le quali la religione è vista nel suo essere totalizzante come qualcosa di totalitario che al contrario di liberare l’uomo lo vincola a dei precetti.
Schiava di una “morale della legge” che non ha trovato la sua evoluzione in una “
morale della virtù” e del piacere.
In una logica nella quale i legami sono vincoli e non ponti per una maggiore consapevolezza, responsabilità e inevitabilmente libertà.



(1): Il riprovare galileiano ha senso letterale di “rigettare”, “scartare”. Questo gli ha fatto spesso attribuire il un carattere epistemologico pre-popperiano.







Gabriele Pergola

Comments

11 Response to 'Dio è morto veramente? Feuerbach al banco di prova.'

  1. Anonimo
    http://attritoweb.blogspot.com/2010/08/le-riflessioni-connesse-dio-sono-tra.html?showComment=1280919659180#c7898317921848437312'> 4 agosto 2010 alle ore 13:00

    Hai messo sullo stesso piano la necessità di mangiare, con un cosiddetto bisogno della proiezione di dio da parte della coscienza umana.
    Noti facilmente che un uomo privato del cibo va incontro alla morte mentre un uomo privo dell'idea di dio ha comunque un esistenza.
    Il criterio con cui Feurbach enuncia la creazione di dio da parte dell'uomo, ha senso per tutti i bisogni non materiali ed è ovvio che non si possa applicare a bisogni fisici materiali dell'individuo.
    Un bambino molto solo perché privo di amici riuscirà a compensare al bisogno di coscienza con la proiezione di un amico invisibile.
    Un bambino molto affamato non avrà modo di materializzare del cibo.
    In secondo punto se pur non esclusa l'eventuale esistenza di dio, non è valutabile quanto sia distante dalla proiezione fatta da un individuo, e soprattutto se ci sia un reale legame tra le due.

     

  2. Pietro Lo Re
    http://attritoweb.blogspot.com/2010/08/le-riflessioni-connesse-dio-sono-tra.html?showComment=1280930799382#c5701724055778023627'> 4 agosto 2010 alle ore 16:06

    Ciao anonimo,penso che le tue obiezioni avrebbero senso se l'articolo fosse stato strutturato secondo un diverso filo conduttore;il suo intento infatti non è quello di soffermarsi sulle conseguenze,positive o negative,che possono derivare dal credere in una qualsiasi divinità,dunque la possibilità di esistere pur non credendo in essa,ma piuttosto sul fatto che le tesi di Feuerbach non costituiscono un argomento forte per negare l'esistenza di Dio(cosa ne pensi?); possono al massimo denunciare un'origine esclusivamente umana dei suoi attributi.
    E qui si inserisce perfettamente la tua considerazione: "se pur non esclusa l'eventuale esistenza di dio, non è valutabile quanto sia distante dalla proiezione fatta da un individuo, e soprattutto se ci sia un reale legame tra le due" .Vedere quale siano gli attributi reali della divinità richiede un altro campo di indagine,che non era quello in base al quale è stato scritto l'articolo.

     

  3. Gabriele
    http://attritoweb.blogspot.com/2010/08/le-riflessioni-connesse-dio-sono-tra.html?showComment=1280934002808#c1606286083571007466'> 4 agosto 2010 alle ore 17:00

    Il “piano” è diverso se intendiamo quello delle CONSEGUENZE. In questo caso le conseguenze derivanti dalla necessità di mangiare sono sicuramente più impellenti rispetto a quelle dell’esistenza di Dio.
    In un “piano” della CONOSCENZA DELLA VERITA’ (Gnoseologico e Teoretico) il meccanismo per cui il “bisogno di Dio” ci dice se Dio esiste o meno è lo stesso che possiamo utilizzare nel caso del mangiare.

    Giustamente Anonimo fai notare che non si può vivere senza mangiare ma si può vivere senza Dio, ma questo non ci dice niente riguardo l’esistenza o la non esistenza di Dio (e l’esistenza del mangiare non si fonda su questo ragionamento, come ripeto quella di Dio).

    Riguardo alla validità per bisogni non materiali, nessuno nega che molti oggi si creino un immagine di Dio secondo il proprio bisogno, ma non ci sono ragioni per fare un salto logico e dire che Dio non esiste.
    Sarebbe come affermare che poiché i bambini senza amici sono in grado di crearsi amici immaginari allora gli amici (come persone reali in carne e ossa) non esistono e tutti ci facciamo delle belle creazioni mentali. Ed è proprio questo l’errore di Feuerbach.

    (Non confondiamo il fatto che uno possa essere “ritenuto” amico ma poi non lo sia perché continuerebbe comunque a esistere!).

    Inoltre ti ricordo che ci sono persone che riescono a provare sazietà quando in realtà non hanno mangiato (con altre ripercussioni). Quindi non è vero che i bisogni “materiali” non possono essere soddisfatti. Quello che non può essere soddisfatto è il desiderio di creare l’oggetto desiderato, un “amico reale” in carne e ossa o una pagnotta.


    “ non è valutabile quanto sia distante dalla proiezione fatta da un individuo, e soprattutto se ci sia un reale legame tra le due.”

    Qui entriamo in un altro campo. L’articolo non si spinge fin qui. Quello che si propone è di rendere evidente che il metodo feuerbacchiano non ci dice niente sulla non esistenza o sull’esistenza di Dio.
    D’accordo su questo si apre il problema di “Anche se esistesse Dio, cosa possiamo conoscerne?” ma è tutt’altro problema, l’importante è non cadere nell’errore di pensare che poiché siamo succubi dei nostri bisogni psichici allora Dio non esiste.

    PS: Ti sarei grato se ti firmassi, almeno con il nome. Non è bello rispondere ad Anonimo =)

     

  4. Domenico
    http://attritoweb.blogspot.com/2010/08/le-riflessioni-connesse-dio-sono-tra.html?showComment=1282041343494#c4018214305736468497'> 17 agosto 2010 alle ore 12:35

    UNA TARTARUGA SULL'ALTRA FACCIA DELLA LUNA
    sarà per il bisogno di ragionare, per la voglia di ricerca di qualcosa che abbia un senso, vogliate scusare se penso di esprimere qualcosa nel riguardo di tale argomento, non assolutamente per polemica, ma solo per quella inesplicabile voglia di ragionare per chi vuole sentire lo scorrere della vita nelle vene della sua anima.
    Devo rivolgermi direttamente a lei, Egregio dott. Del Re per esprimere, quì, alcune mie perplessità su alcune delle impostazioni sopradette,molto eleganti e molto approfondite, come non si può certo reperire consuetudinariamente.
    Mi lascia perplesso il principio per il quale si opone alle tesi di Feuerbach, ossia "non dimostra l'inesistenza di Dio e nemmeno potenzialmente le tesi del grande autore tedesco possono svolgere un tale compito". Mi chiedo : è una risposta? purtoppo più penso al riguardo e più devo dirmi di no. Questo principio non può portare acqua a sufficienza. Sarebbe necessario un fiume di acqua per spegnere il fiume di fuoco (si, gioco di parole con il nome dell'autore tedesco) delle contestazioni di Feuerbach, e d questa pompa non può uscire nemmeno un flebile rivolo. Ora spiego il perchè.
    Tale procedura metodologica è stata oggetto di una lunga virulenta polemica nel mondo dela scienza e della filosofia della scienza. Vorrei che chi leggesse avesse ben chiaro in mente che non mi sto riferendo a complesse argomentazioni epistemologiche, ma a nozioni che fanno parte di programmi liceali di filosofia, almeno scientifici e classici, perfino in Italia.
    Premesso a scanso di equivoci che non sto mettendo in dubbio inteligenza e l'onestà intellettuale di chi crede, senza franatismi ed ideologie (lì sono più severo)in una dottrina religiosa che si proponga finalità morali, ma non poso fare a meno di notare quele che sono, secondo me, macroscopiche incongruenze e contraddizioni.
    Nella scienza, ogni volta, ogni volta, ogni volta (scusate la ripetizione ma la ragione non è democratica, a volte, e regole assodate dall'esperienza devono essere accettate come fondamento fin quando non vengono sostituite da un'altra migliore) che si elabora un esperimento si deve seguire il principio....opposto!
    <> Questo principio è qualcosa di più di un semplice ragionamento, è proprio una vera impostazione mentale. Noto, spesso, che in religione si adotti il principio da Lei adotto.
    Ma le conseguenze, nella storia della scienza sono state catastrofiche. Dalla presunta esistenza dei "raggi N", alla peristenza della teoria Tolemaica, che aveva meno "fatti" positivi a suo carico checchè ne dicesse, ipocritamente Feyerabend,rispatto a Galileo, al... (perchè no, cos' siamo più chiari e popolari).. mostro di Loch Ness. Risulta a qualcuno che si sia mai riusciti a dimostrare l'inesistenza del mostro di Loch Ness? A me no! Quindi il mostro esiste! Vi sembra un'argoentazione seria? lascio a voi la risposta, dato che già è stata formulata dentro la vosta mente e la mia non è più intelligente della vostra. Volendo ci possiamo mettere dentro anche l'Astrologia e gli Ufo, tanto rendere più amena la conversazione....
    Distinti Saluti
    Domenico

     

  5. Anonimo
    http://attritoweb.blogspot.com/2010/08/le-riflessioni-connesse-dio-sono-tra.html?showComment=1282042221465#c2107489219312394850'> 17 agosto 2010 alle ore 12:50

    Se mi è permesso un paragone, tale principio del "tutto esiste finchè non se ne dimostri l'inesistenza" mi ricorda tanto un grazioso animale : la tartaruga! il grazioso ha l'abitudine, quando vede una "malaparata" in una situazione un pò difficile da sostenere di rintanare tutto il suo corpo, anche testa e le piccole zampette dentro il duro guscio e di uscirsene, così... per il rotto della cuffia.
    Parliamoci chiaro, in parole sante : come diavolo si fa a "dimostrare l'inesistenza di qualcosa"? Ma nemmeno dell'Ippogrifo! E' per questo che tale principio è stato abbandonato.
    Mi sembra di sentire la risposta : se fosse vera questa argomentazione allora non dovremmo neppure credere all'esistenza dell'altra faccia della Luna, quella che non può mai essere vista dalla Terra, perchè è sempre nel'emisfero non visibile del nostro satellite.
    non la vediamo, non la sentiamo, perchè dovremmo credere che esista?
    ora dovrremmo fare, econdo me una cernita all'interno di quella che viene comunemente definita la Metafisica.
    Ve n'è una di tipo "ascetico" che riguarda "cose religiose" come teologia, la morale dentro qualche dottrina (e tutte hanno contraddizioni dentro le loro morali, spiriti santi, angeli, profezie ed altro....
    Ve n'è una seconda che, anche solo indirettamente, comunque, può ricadere nelle sue conseguenze intellettuali, dentro il sensibile percepibile. es, per essere chiari : il principio causa-effetto. chi è mai riuscito a dimostrarne l'esistenza? Ma si può ipotizzare che esista? Solo a livello di ipotesi acettabile, ma che deve essere accettata perchè non vi è nulla di meglio allo stato dell'arte, si! Questa accettazione è resa tranquillamente valida dalle evidenti ricadute che ha nel mondo del reale. Ne volete un piacevole intellettualmente doloroso fisicamente esempio? Provate a metter un milione di volte un vostro dito sul fuoco nell'idea che, almeno per una volta non vi scotterete e quella volta basterà per rendere non acettabile il principio causa-effetto, poi ne parliamo. Solo consiglio di fornirvi di cerotti, prima.
    Anche se non l'ho ma vista, posso dire che l'altra faccia della luna esiste perchè perchè le modalità con le quali la posso ipotizzare sono le stesse con le quali posso scoprire l'altro versante di una montagna, l'oceano pacifico prima di Magellano : ipotizzare l'esistenza di tali entità è in accordo con tutti i rilevi strumentali possibili e non crea incongruità con le strutturazioni valide e vantaggiose fin al tempo reale. Compreso, per coerenza, il principio "nulla esiste finchè non ne sia dimostrata l'essitenza". Teorie con tutta evidenza accettabili possono essere adoperate quando siamo molto più di una probablità, più di una possibilità, una possibilità accettabile.
    e per questo che posso dire con una adeguata accettabilità (la certezza sì, è un concetto superato) che non vi sono tartarughe sull'altra faccia della luna, e nemmeno il mostro di Loch Ness, Astrologia, Ufo, ecc... Ah, dimenticavo : nemmeno omeopatia!
    Grazie dell'attenzione
    Domenico

     

  6. Gabriele
    http://attritoweb.blogspot.com/2010/08/le-riflessioni-connesse-dio-sono-tra.html?showComment=1282219414171#c6747893353469588158'> 19 agosto 2010 alle ore 14:03

    http://sphotos.ak.fbcdn.net/hphotos-ak-snc3/hs612.snc3/32193_128632733816236_117111201635056_330403_5104594_n.jpg

    Riguardo a "Tutto esiste finchè non se ne dimostri l'inesistenza" sono d'accordo con te, chiaramente questo metodo non porta da nessuna parte.
    Ma non possiamo neanche accettare che "Esistono solamente le cose che possiamo dimostrare". Io riterrei più saggio un atteggiamento che sospende il giudizio continuando a ricercare, a quello che non si cura della possibilità che qualcosa possa esistere perché la dimostrazione non gli cala dal cielo.

    Richiamandomi all'immagine da me linkata, un atteggiamento a mio avviso positivo nella seconda vignetta, dovrebbe essere quello di chi pensa che non ha ragioni sufficienti per credere che esista, ma non potendo per questo escludere la sue esistenza, tiene un atteggiamento di ricerca.

    Detto questo che concerne il taglio da te dato al problema, ci tengo a sottolinearti che non è questo il genere di obbiezione sostenuta nella fattispecie.
    Nell'articolo non mi muovo verso una critica generale alla possibilità di negare Dio. Ma contesto questa particolare via, oggi condivisa da tanti e da Feuerbach teorizzata, che prende piede dall'analisi psicologica.

    Sarebbe come affermare che Loch Ness non possa esistere perché è una proiezione delle paure degli abitanti. Devono e possono essere altre le tipologie di ragioni che possono realmente dirci qualcosa.
    Il mostro potrebbe esistere e comunque gli abitanti proiettano le loro paure. Oppure il mostro potrebbe non esistere e gli abitanti proiettano comunque le loro paure.

    Questo è lo stesso errore di fondo di cui si macchia il discorso di Feuerbach. E con lui tutte le analisi psicologiche/sociologiche/antropologiche che non vanno oltre il dirci che il bisogno di Dio è sempre esistito, senza per questo compromettere alcun tipo di discorso religioso.

    Il valore positivo che si trae da questi discorsi, come per Loch Ness, richiama a porre maggiore attenzione nel non farci attrarre da farlocchi.
    Insomma, un richiamo alla serietà, che come sempre è doveroso. Seppure oggi venga confuso con la seriosità. Ma questo è un discorso che faranno fruttuosamente gli psicologi.

    Grazie a te! =)

    PS: Visto il tuo interesse potresti anche pensare di scrivere qualcosa per Attrito no? Gli argomenti possono essere i più vari. =) Facci sapere anche su Facebook.

     

  7. Pietro Lo Re
    http://attritoweb.blogspot.com/2010/08/le-riflessioni-connesse-dio-sono-tra.html?showComment=1282233320941#c5501066052496023068'> 19 agosto 2010 alle ore 17:55

    Ciao Domenico,sono il signor LO Re (hai scritto Del Re ;-) )
    Volevo risponderti già da prima,quando ancora Gabriele non aveva risposto,e quello che ha scritto è praticamente lo stesso concetto che volevo esporti,ma voglio scriverlo lo stesso perché comunque è detto in un modo diverso e la diversità in cui si esprime uno stesso concetto può stimolare la riflessione in modi diversi.
    La considerazione che tu fai è assolutamente legittima:non bisogna credere per forza a tutto ciò di cui non si può dimostrare,o non lo si può fare facilmente,l'esistenza.Saremmo costretti,come evidenzi giustamente tu,a credere ad esempio ad animali mitologici come le sirene:chi ci dice che non esistano? Magari si nascondono "in fondo al mar" ogni volta che qualcuno solca i loro mari o si appresta a cercarle;stesso discorso dicasi per le fate,i troll,gli ippogrifi e in ultima istanza,non certo però perchè lo accomuno a tali creature,Dio.

    Nessuno infatti è mai riuscito a dimostrare la non esistenza di un essere che possa rientrare nel concetto di "dio" ma non per questo allora dovremmo essere costretti a crederci;chi ci crede infatti,non lo fa per questa ultima ipotesi ma perchè trova dei riscontri,come quelle del dito e del fuoco o dell'altra faccia della luna,seppur non rilevabili allo stesso modo,che lo portano a ritenerne possibile l'esistenza.
    Non entriamo per adesso nel discorso riguardo a quali siano questi riscontri perchè sono molteplici,così come sono molteplici i volti che vengono attribuiti a questa entità denominata "Dio",e che comunque non interessano al nostro discorso.

    Quello che volevo sottolineare è che l’intento dell’articolo non era quello di dire: “visto che la dimostrazione della non esistenza di Dio è impossibile allora ne consegue necessariamente che egli esista”; al contrario,voleva proprio denunciare un atteggiamento analogo,che sembra proprio essere alla base del ragionamento di Feuerbach e che è quello di negare l’esistenza di qualcosa che non si può constatare facilmente,a differenza del nostro dito nel fuoco,sulla base unicamente della rilevazione di contaminazioni derivanti dalla mentalità umana,nello specifico il proiettare di quest’ultima su Dio degli attributi tipicamente propri:il fatto che l’idea di Dio possa essere contaminata da proiezioni umane,non è in alcun modo una DIMOSTRAZIONE della sua non esistenza quanto,al massimo,un INDIZIO,più o meno forte a seconda di come lo si consideri,di essa.
    E’ un po’ come se dovessimo sostenere che è certo che la reincarnazione non esiste perché ci sembra assurdo il modo in cui i Buddhisti o gli Induisti la credono:ciò esclude che la reincarnazione possa esistere seppur diversissima da come immaginata da questi ultimi?

     

  8. Anonimo
    http://attritoweb.blogspot.com/2010/08/le-riflessioni-connesse-dio-sono-tra.html?showComment=1282935839733#c8098025093292367175'> 27 agosto 2010 alle ore 21:03

    chiedo scusa per il ritardo, ma i miei tempi sono necessariamente lunghi visti il lavoro, ecc...

    Allora mi chiedo :

    1) se è una ricerca non può, per definizione, attribuirsi uno dei predicati fortemente abbarbicati, che dovrebbe essere, che è sempre stata definito, che viene ribadito dall’eternità come essenziale componente di una fede, tanto da esserne parte integrante di una sua definizione : la Certezza.
    Se una ricerca è il tentativo di raggiungere una meta che ancora è annebbiata, come si può essere certi, fino ad avere fede in ciò, di aver scorto bene i nitidi contorni di tal fede, di tale meta?
    La fede pretende di essere certezza prima ancora di essere dimostrata. Accettabile per chi voglia vivere dentro tale speranza, ma pretendere che, in nome delle proprie certezze, il resto del mondo debba osservarne precetti e conseguenze è qualcosa che, detto senza polemica alcuna, evade dalla moralità.

    2) Affermare che non si riesca a dimostrare l’inesistenza di un dio è un’affermazione che non solo non ha un senso “fisico” “scientifico”, bisogna pensare che manca ancora una definizione di quale sia una procedura che sia “giusta” per formulare “giuste” ipotesi razionali. Alla base delle più ardite e riconosciute idee filosofiche e scientifiche vi era il semplice buon senso. Anche le rivoluzioni culturali poi accettate lo sono state perché è dentro tutti noi questa facoltà, di scorgere, a ben vedere, cosa sia contradditorio, cosa sia assurdo.
    Come si può chiedere che un ateo dimostri l’inesistenza di un dio? Se dio è irrazionale, perché è indimostrabile anche solo potenzialmente, per definizione, cercare di voler dimostrarne, con metodi materiali e dimostrabili la sua inesistenza presupporrebbe, prima, un’idea di dio addirittura “immanentistica”, addirittura un atto di fede fra i più ciechi e devoti che mai siano comparsi nella storia dell’umanità! È ovvio che un vero ateo non si sforzi più di tanto di usare metodi “razionali” “fisici e materiali” per dimostrare l’inesistenza dell’indimostrabile nella sua esistenza. Sarebbe assurdo. Sarebbe contraddittorio.
    È essere lontani dalla mentalità dell’ateismo razionale non ritenere che, se uno è ateo, è per forza indimostrabile tanto nella sua esistenza, tanto nella sua inesistenza.
    Mi scusi, ma vedo non dico un sottile alito di pregiudizio verso un'altra idea che disturbi le proprie certezze, calde e protettive, ma almeno una difficoltà di rappresentarsi un’idea diversa e per questo vista come necessariamente qualcosa di “sporco” “cattivo” tentatore come il serpente del paradiso primordiale. Non devono essere le prime impressioni a condurre i nostri giudizi, al contrario l’osservare le vere conseguenze delle proprie convinzioni.

     

  9. Anonimo
    http://attritoweb.blogspot.com/2010/08/le-riflessioni-connesse-dio-sono-tra.html?showComment=1282936035718#c4710464635220011638'> 27 agosto 2010 alle ore 21:07

    Sono Domenico,
    3) Ripeto : l’onere della prova spetta a chi afferma l’esistenza di qualcosa. Altrimenti nulla esiste, altrimenti non vi è ricerca. È il rappresentante dell’Ufficio Istruzione a dover dimostrare l’esistenza della colpevolezza dell’imputato non il contrario. La ricerca sarà poi la fase dibattimentale. Lì l’esistenza della “colpevolezza” o di un “dio” ancora non deve essere ritenuta certa. Nella ricerca non v’è certezza. La fede è una certezza solo per chi ritiene di essere in possesso della verità prima della parte dibattimentale. Lecito, ma questa impostazione, come qualsiasi altra, non può essere considerata libera di qualunque limite, come sono, nel caso, i due detti prima e quello successivo.

    4) Vi è un altro punto da questionare un altro attributo della fede : la morale. Se questa derivasse dalla ricerca, come potrebbe poi avere i caratteri della certezza?
    La morale, in una mentalità religiosa, è diretta emanazione della verità rivelata, deriva da questa, deriva dalle sue certezze, gode di questa derivata certezza.
    Che la fede sia solo una ricerca è un’ottima ipostazione, solo che dobbiamo attribuire a questa il nome che le spetta : Relativismo. La validità di tale morale può allora essere valida solo accettandone i presupposti, quelli fondanti i percorsi ed punti di partenza di tale ricerca, ma che sono arbitrari, non certi, non dimostrati e, lo abbiamo visto, nemmeno dimostrabili, volutamente. Non potrebbe essere una morale assoluta, proprio perché valida solo entro confini delimitati dai propri assiomi o dogmi, che, essendo ancor più indiscutibili ed indimostrabili, apparentemente sembrano assoluti, in verità sono l’emblema del relativismo.

     

  10. Anonimo
    http://attritoweb.blogspot.com/2010/08/le-riflessioni-connesse-dio-sono-tra.html?showComment=1282936506402#c8973746298366529523'> 27 agosto 2010 alle ore 21:15

    5) dove sarebbe la stella polare guida di questa ricerca? Dove sarebbe la linea di parallasse di primo grado che più si avvicina alla vera meta? Chi potrebbe dire, quindi, quale sarebbe la linea giusta della ricerca? Non essendovi certezze allora tutte le religioni sono uguali, le sette di tutti i continenti, tutte le idee, dalla metempsicosi all’animismo, dallo sciamanesimo all’….ateismo. Già perché anche questa è una ricerca, aliena dall’inseguimento di una “figura paterna risolutiva e protettrice” proprio per questo vista come lontana o, peggio, impossibile nella certezza. La vera ricerca è una tensione che spinge ad oltrepassare la banalità di mete quotidiane od opportunistiche, non l’inseguimento di una meta già disposta, cercare non è un matrimonio combinato. Cose che certo, sapete già.

    Considero un piacere ed apprezzo il modo ragionato di voler ascoltare e pensare su idee diverse che, al di là di ogni convinzione di parte, è un segno, secondo me, di vera serietà.
    Domenico
    ps: (meno serioso : ma si può sapere quanti sarebbero questi 4.000 caratteri, che fin'ora mi ha creato un mucchio di problemi nel postare lo scritto?)

     

  11. Pietro Lo Re
    http://attritoweb.blogspot.com/2010/08/le-riflessioni-connesse-dio-sono-tra.html?showComment=1283244276414#c6648718130078785108'> 31 agosto 2010 alle ore 10:44

    Ciao Domenico,mi dispiace per il limite di caratteri è che questo sistema di commenti non è per niente buono,abbiamo intenzione infatti di creare un forum apposito per poterli gestire meglio :)

    Concordo su molte delle cose che dici però vedo che sei un pò uscito fuori tema...ad esempio il discorso sulla validità di una morale basata su qualcosa di indimostrabile non c'entrava molto con il discorso su Feuerbach.

    Ribadisco ciò che ho espresso prima:la critica di Feuerbach che questo articolo presenta è finalizzata semplicemente a porre sull'attenti riguardo al fatto che,seppure efficaci per quanto riguarda il buon senso,le considerazioni che il filosofo porta riguardo a Dio non hanno carattere di dimostrazione scientifica ma soltanto,appunto,di intuito,di buon senso.

    Questo articolo voleva mettere in guardia dall'utilizzare queste considerazioni come una dimostrazione,una prova incontrovertibile della non esistenza di qualsiasi concetto di dio.

    Per le altre questioni che hai posto tu magari se ne potrà parlare prossimamente,ma qui è meglio restare in tema :)

     

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