Ho scelto di scrivere qualcosa circa l’opinione sulla religione essendo pienamente consapevole del fatto che parlarne nell’epoca di Odifreddi e Dawkins o di documentari come “Religiolous” di Larry Charles e “Zeitgeist” di Peter Joseph ,può sembrare ripetitivo e scontato in modo da indurre a rivolgere l’attenzione altrove o portare direttamente alla nausea. Di religione infatti ne abbiamo sentito parlare ormai fin troppo e,tra le varie opinioni dibattute,ad apparire spesso dominante è quella che la vede smascherata come un immenso sistema di credenze e superstizioni menzognere nate dalla paura o dall’ammirazione dell’essere umano verso i misteri della realtà e sfruttato attraverso i secoli e nei vari continenti dalla casta di turno che ne approfittava per dominare e sottomettere il popolo e assicurarsi il dominio incontrastato su tutto e su tutti. Una critica partita in maniera sistematica dai tempi dell’Illuminismo e che oggi cerca di raggiungere definitivamente il verdetto di condanna capitale contro di essa per permettere all’umanità di essere finalmente libera di decidere da sola del proprio presente e del proprio destino senza la paura di una o più divinità “burattinaie”.Ma ho scelto ugualmente di farlo proprio perché percepisco come urgente l’esigenza di rispondere ad una domanda che non viene posta facilmente e che è la seguente:possiamo realmente convincerci della veridicità di queste conclusioni,colonne portanti di associazioni come l’UAAR(Unione Atei Agnostici Razionalisti)e di altri singoli pensatori più meno simpatizzanti per l’ateismo militante e assumerle come soddisfacente spiegazione del fenomeno religioso?Ciò che ha influenzato profondamente per millenni la vita dell’uomo portando alla nascita di immensi sistemi etici,culturali,filosofici,artistici nonché di ingenti produzioni letterarie che spaziano dal sacro al profano aveva realmente come volto nascosto quello di essere “oppio dei popoli”?


 La domanda di fondo da cui dobbiamo partire per cercare di dare una risposta diversa è abbastanza semplice e cioè perchè l’uomo abbia elaborato la realtà che chiamiamo religione. Cerchiamo di riflettere un po’ sul volto della realtà che ci circonda:è piena di elementi che entrano continuamente in relazione più o meno profonda con la nostra vita determinando conseguenze a volte positive a volte negative; appare immensamente più vasta della nostra capacità di comprensione tanto da indurci spesso a dover semplicemente limitarci a constatare l’esistenza di fenomeni di cui non conosciamo nemmeno minimamente la causa;in più,abbiamo l’assoluta consapevolezza di non aver scelto di esistere ossia di non essere causa di noi stessi il che significa che abbiamo l’evidente,e a volte disarmante,conoscenza del fatto che quella che chiamiamo realtà ci precede. Insomma,ci troviamo prima o poi a fare la frustrante,terribile esperienza dell’impotenza. E quando tale impotenza è assoluta e non permette di superare ostacoli che minacciano in vari modi l’ esistenza,l’essere umano fa una delle azioni più spontanee e istintive che possiede fin dalla nascita:chiedere aiuto. Anche l’uomo più orgoglioso della terra non può fare a meno di chiedere aiuto,fosse anche a se stesso,ma tale richiesta è un elemento costitutivo dell’umanità sin dalla sua prima comparsa sulla terra. E chi può dare aiuto nei confronti di realtà dolorose che non si riescono in alcun modo a lenire con le sole forze umane se non qualcuno o qualcosa che possiede forze più grandi?Ecco allora l’apparire della religione come tentativo di relazione con una realtà che può rispondere alla richiesta di aiuto e la cui esistenza o non esistenza determina la possibilità dell’umano di poter contare su un aiuto esterno o di doversi basare unicamente sulle sue forze.


Ma accanto alla richiesta di aiuto dobbiamo necessariamente mettere una seconda realtà altrettanto costitutiva della dimensione umana e spesso trascurata che è l’esigenza di ringraziamento,quest’ultimo inteso come la risposta ad un profondo sentimento di gratitudine scaturente da eventi positivi la cui causa è sconosciuta e che non può essere ripagato dai soli sentimenti umani. L’antichissima pratica di offrire alle divinità le primizie dei raccolti o dell’allevamento,presente praticamente nella storia di tutte le popolazioni umane,o il ringraziamento che l’ebreo rivolge a Jahvè per averlo liberato dalla schiavitù egiziana sono mirabili esempi di tale esigenza,fosse anche accompagnata alla paura di un’eventuale condanna da parte del responsabile in caso di mancato ringraziamento. In questo caso la religione è allora relazione di gratitudine con una realtà superiore che si è fatta conoscere con fenomeni ed eventi vissuti dall’uomo e anche qui la non esistenza di tale realtà determina il non poter soddisfare questa esigenza che dunque dovrà essere eliminata o riservata al solo ambito delle relazioni umane. Un terzo elemento riguarda l’eventualità che tale realtà superiore abbia programmato una struttura umana che sviluppi un interesse per essa;in questo caso la religione sarebbe allora una risposta ad uno stimolo posto dal suo stesso creatore e dunque assolutamente legittimo.


Ma questa realtà superiore esiste effettivamente?Abbiamo realmente la possibilità di stabilirlo?Non avendo una risposta che si possa constatare con un’evidenza assoluta tali domande devono continuare ad essere poste e il farlo è un diritto dell’umanità oppure,se questa realtà superiore avesse davvero posto nel cuore dell’uomo l’esigenza di cercarlo,è addirittura un dovere .Eliminando la religione le esigenze di aiuto e gratitudine rimarranno:chi le soddisferà?Se qualcuno ritiene che non possano essere soddisfatte dalle sole forze umane e che dunque questo sia una forte evidenza del fatto che esista realmente chi può soddisfarle commette forse un crimine?Non è forse evidente che pur avendo trovato i modi per migliorare enormemente le condizioni della vita e per difenderci sempre meglio dai pericoli della natura è possibile ancora oggi sperimentare il senso di impotenza di fronte a tante realtà?


Cerchiamo allora di non sottovalutare le cause che stanno alla base dell’esperienza religiosa. Io ne ho evidenziati solo un paio ma ce ne sarebbero molti di più,questo articolo non vuole essere un saggio esauriente di filosofia della religione perché sono consapevole che l’argomento è molto più vasto e complesso di quanto scritto qui. Tuttavia,penso che sia importante soffermarci innanzitutto su quelli che ho evidenziato perché sono tra le esigenze primarie e fondamentali per l’umanità e non devono in alcun modo essere ignorati perché non sono per niente soddisfabili vivendo allegri e spensierati come certi slogan vorrebbero far pensare perché la vita non è per niente semplice. C’è chi può ritenere che la religione non è l’unico modo per soddisfare tali esigenze e può impegnarsi a cercarlo ma questa non dovrebbe comunque essere ritenuta come un relitto del passato perché le esigenze dell’umanità sono sempre le stesse e sono sempre tremendamente attuali ed essa cerca di dargli risposta. Non denunciamola come nemica dell’umanità perché forse,finora,è stata la sua migliore amica.
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A quando il partito dei furti con destrezza o l'associazione degli amici dello sballo legalizzato? - si chiede Tullio Camiglieri, Coordinatore del Centro Studi per la difesa dei diritti degli autori e della libertà di informazione, riferendosi alla "Festa dei Pirati" (informatici), svoltasi sabato scorso al cinema Capranica di Roma.

La stessa manifestazione che conta tra i suoi partecipanti "d'eccellenza" Antonio di Pietro: l'inflessibile promotore del rispetto della legalità in Italia è intervenuto al raduno dei sostenitori del libero scambio di materiali multimediali in rete, scambio che spesso avviene in barba alle attuali leggi del copyright ed è quindi perseguibile legalmente.
Come si spiega questa contraddizione apparente? Quali fattori culturali gli permettono di partecipare ad una manifestazione a favore del P2P senza dover dismettere l'abito di fautore della legalità?

°Il primo punto da mettere in evidenza è che da parte della maggioranza dei consumatori il download per uso privato di materiale coperto da copyright non viene percepito come illegale. A ragione o a torto, potremmo chiederci? In realtà la risposta non è così semplice. Da un lato è certo che nessuno di noi, neppure il più accanito fruitore di film, musica o giochi scaricati illegalmente, pensa seriamente che sia giusto non retribuire artisti, intellettuali e programmatori per il loro lavoro. E' evidente che la fatica ed il tempo impiegati nel produrre dei beni culturali (senza contare l'inventiva necessaria), meritino un giusto compenso e che la proprietà intellettuale delle opere sia e rimanga un diritto fondamentale che deve venir riconosciuto. Eppure la facilità di accesso a contenuti tutelati dal copyright e l'impersonalità della procedura di scaricamento contribuiscono alla sensazione di non star compiendo nulla di illegale. Non abbiamo dinanzi a noi la persona alla quale arrechiamo un danno, a differenza di quanto accade con gli altri tipi di "furti", e questo è un fattore della pirateria difficilmente eliminabile. D'altro canto, definire lo scaricamento illegale un "furto" sembra decisamente inappropriato anche a chi scrive. E ciò non soltanto per i fattori di carattere "emotivo" di cui si è parlato sopra, ma anche per ragioni molto più condivisibili e razionali.

°Il problema principale è che l'attuale prezzo della maggior parte dei prodotti multimediale è insostenibile rispetto alla quantità a cui al giorno d'oggi ha bisogno di accedere un uomo di media cultura. Per fare un esempio, un cittadino comune che volesse tenersi mediamente informato sulle novità che il mondo della cultura gli offre al giorno d'oggi seguirà circa 4 serie tv all'anno (il costo medio del DVD con una stagione di un serial televisivo si aggira intorno ai 50 euro). Ogni mese acquisterà come minimo un CD musicale, dal costo medio di 20 euro; leggerà almeno tre libri (molti di più se consideriamo anche quelli che sono materia di studio) il cui costo medio è 20-30 euro l'uno, andrà al cinema più o meno quattro volte (sei-sette euro a spettacolo); inoltre, qualora volesse accedere a buona parte dei contenuti disponibili nelle reti televisive, dovrà sborsare all'incirca 40 euro per la pay tv.

°Soprattutto, tutti ormai sanno che buona parte del ricavato non andrà direttamente all'artista: la mediazione delle grandi case produttrici, che come è certo tendono a gonfiare i prezzi fino a livelli ritenuti inaccettabili dai consumatori, viene ormai vista come ingiustificata, illegittima o predatoria. Se certamente le grosse multinazionali della cultura tendono ad agevolare in un primo momento lo sbocco degli artisti emergenti, è altrettanto vero che in un secondo momento esse spesso divengono, per ammissione degli stessi artisti, una forte limitazione alla loro libertà creativa e alla stessa proprietà intellettuale delle loro opere. Se dunque scaricando illegalmente si fa un danno a qualcuno, la sensazione è che questo danno lo ricevano molto più le grosse major speculatrici che gli artisti stessi. Sono soprattutto loro che, nella nuova era di liberto accesso ai beni multimediali, potrebbero rischiare il tracollo. Ma sarebbe davvero un danno per l'industria della cultura? Ciò non potrebbe invece favorire la nascita di nuovi sistemi di interazione diretta tra intellettuali e consumatori, sistemi che usufruendo della stessa rete potrebbero non avere più alcun bisogno di supporti materiali (pensiamo ai CD, ai DVD o alla carta) e di alcuna intermediazione da parte di terzi, portando ad una minimizzazione dei prezzi ottimale tanto per il consumatore che per il produttore del bene o del servizio?

°Infine, sembra che sia difficilmente giustificabile da un punto di vista etico o razionale la necessità di mantenere il copyright anche su opere che hanno fatto il loro tempo o il cui ideatore non è più in vita. Oltre che il sistema di interazione tra produttore e consumatore è lo stesso sistema del copyright che necessità di essere reso più "leggero" e al passo con i tempi attuali. Non ha senso dover continuare a pagare per vedere un classico del cinema degli anni cinquanta o per ascoltare una canzone di Elvis Presley.

Per tutte queste ragioni riteniamo che la pirateria non sia soltanto sinonimo di barbarie, immoralità e opportunismo. E' soprattutto il frutto di un sistema vecchio e obsoleto che tarda ad adeguarsi alle necessità del pubblico per non correre il rischio di perdere certi privilegi economici di casta. Cosa che troviamo, francamente, indifendibile.
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