Quali livelli di abiezione potrebbe raggiungere l’umanità se abbandonasse ogni forma di sentimento morale e di speranza abbandonandosi alla più totale degradazione? Totò che visse due volte sembra essere un ottimo tentativo di risposta a questa domanda. Il film che Daniele Ciprì e Francesco Maresco hanno girato nell’ormai lontano 1998 presenta una Palermo squallida e degradata attraverso la narrazione di tre episodi che rivelano una situazione di vita assolutamente inquietante per la sua miseria: dalle vicende di un quartiere interessato unicamente a distrarsi dalla disperazione sfogando i propri istinti sessuali tra cinema porno e prostitute,passando per la tragica storia di due omosessuali perseguitati dalla famiglia fino ad arrivare ad una parodia grottesca e squallida della predicazione di Cristo,il tutto sostenuto da un cast di personaggi che non rispecchia esattamente il concetto di bellezza fisica né tantomeno morale e che stravolge persino i ruoli: chi vedrà il film provi a contare il numero di donne presenti nel corso delle vicende e resterà stupito dal risultato.

   Con dei presupposti simili era prevedibile il destino di “pellicola maledetta” che ha colpito l’opera:  di fronte a scene come quella del film porno in cui un uomo sodomizza un asino o di quella del ragazzo con problemi psichici che violenta una statua della Madonna è impossibile non comprendere i motivi che alla vigilia dell’uscita del film nelle sale hanno portato la censura italiana alla proibizione,poi non più applicata,della proiezione.
   Visionando la pellicola si ha l’impressione di trovarsi di fronte alla traduzione cinematografica del concetto di “degradazione” : scene come quelle descritte sopra,unite a paesaggi squallidi e desolati, ad un rigido bianco-nero e ad una colonna sonora (se così si può chiamare) che traduce il tutto in chiave musicale,rendono perfettamente l’idea e chi ha già visto il film potrà perfettamente capire. Nonostante possa sembrare incredibile,e a ragione, non mancano nemmeno le risate che non possono non scaturire,specialmente dallo spettatore palermitano,all’udire l’esprimersi nel più puro e sboccato dialetto del capoluogo siciliano di alcuni dei personaggi e soprattutto in situazioni inappropriate, come quando il Messia Totò si ritrova davanti alla gente che aspetta il suo “Discorso della montagna” ; tutto questo però,in realtà,non fa che rientrare perfettamente nell’atmosfera di fondo del film perché trovare il riso accostato a situazioni che forse non riuscirebbero a suscitare nemmeno il pianto rende il tutto ancora più squallido. Il nonsenso e l’annichilimento sembrano insomma essere le Muse ispiratrici delle vicende rappresentate.

   Sebbene il film sia stato accusato anche di blasfemia non è impossibile rendersi conto che l’intento dei registi non sembra essere quello di una critica alla religione quanto piuttosto quello di colpire a fondo la dimensione psichica ed emotiva: suscitare un senso di orrore,ma contemporaneamente di compassione,verso un’umanità disperata e necessariamente bisognosa di salvezza. Quale può essere infatti l’esigenza di girare un film simile? Perché i registi hanno voluto dar vita ad una pellicola così pesante da digerire? Il film della coppia Ciprì-Maresco meritava davvero la censura? Queste domande dovrebbero coinvolgere ogni opera d’arte che,in qualche modo, vuole rappresentare realtà difficili anche solo da immaginare; anche un quadro infatti può farlo,anzi, Totò che visse due volte più che una storia nel senso classico del termine sembra essere un macabro quadro che turba e che prende vita in forma di film.

   C’è da chiedersi quindi quale sia il valore di questo tipo di opere. Rappresentare il degrado in sé stesso, senza inserirlo in una dialettica in cui sono presenti anche realtà che lo superano o che almeno competono con esso in modo equivalente non può certo servire a dare un messaggio di speranza; il suo ruolo è forse allora quello di monito? Il “Vangelo degradato” del terzo episodio non è forse il ritratto di realtà che hanno perso ogni valore,anche quelli più importanti, e che quindi non possono che essere segnalate come fosse in cui dovremmo con tutte le nostre forze evitare di cadere?
  Una valida interpretazione fornita dal commento, estremamente esauriente,di Andrea Occhipinti, fondatore della Lucky Red,la casa cinematografica che ha distribuito il film: "Totò che visse due volte […] è uno di quei film che divide, perché mette dolorosamente a nudo il malessere che i registi vivono. Alla fine, esci dal cinema con una sensazione di disagio, non vedi una luce. Questo si può accettare o rifiutare, ma è il loro punto di vista. Ti dà una scossa, ti fa pensare".


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