Il periodo sembra grigio. I giovani italiani hanno poca speranza per il futuro sono sfiduciati nei confronti del lavoro e della vita. Descritti come bamboccioni, mammoni e svogliati dalla stessa casta politica che ha creato il sistema e che spesso ripudiano, sbandano prendendo la vita giorno per giorno cercando di esigere i diritti garantiti ai loro padri e finendo per non averne nessuno.

E' stata da poco emanata la legge finanziaria per il prossimo anno, e le prospettive sono di lacrime e sangue per riuscire a contenere la crisi economica che colpisce il nostro paese. Le proteste si scatenano per mostrare l’importanza del proprio universo lavorativo al parlamento nella speranza di attutire il colpo che si prospetta (e che in alcuni casi è già stato assestato) e i giovani sfogano la loro frustazione con più veemenza degli altri, come nel caso della protesta studentesca del 24-11 sfociata nella tentata irruzione a Palazzo Madama.

Questa tensione che serpeggia per il bel paese è da ricercarsi, a mio parere, nel timore e nella mancanza di prospettive nei confronti del futuro. Si teme che taglino lo stipendio sicuro aggiungendo persone al già nutrito numero di cassaintegrati oppure, riducendo i diritti dei lavoratori, si teme che lo stipendio sicuro non arrivi mai fra uno stage e un co.co.co.

Ma questo stipendio sicuro, visto in prospettiva, cos’è?

Senza invischiarci inutilmente nel roveto giuridico, in Italia sotto la denominazione “contratto a tempo indeterminato” (e quindi stipendio sicuro) risiede una categoria di lavoratori il cui status lavorativo è garantito e, specialmente in grandi aziende, a meno di circostanze del tutto eccezionali, letteralmente blindato (e quindi appunto sicuro).

La caratterizzazione di questa tipologia di lavoro ha costituito la spina dorsale dell’Italia del boom economico, garantendo la stabilità per accendere mutui e fondando la famiglia sulla sicurezza che il lavoro non sarebbe sparito a meno di avvenimenti straordinari, anzi, l’introito sarebbe progressivamente incrementato grazie all’anzianità accumulata.

Ma d’altro canto questo comporta, per sua stessa natura, una struttura endemicamente rigida, in un periodo di stagna economica (o quando la forza lavoro umana viene progressivamente sostituita dalle macchine o dai cinesi) poco affine ai licenziamenti e declassamenti tanto quanto alle assunzioni e alle promozioni, poco incline a premiare il merito chiusa nella statiticità che la contriddistingue.

Il problema sorge nel 2011, dove a differenza che nel 1960, a causa di progresso tecnologico e globalizzazione economica, un paese non può permettersi di basare la competitività su una struttura gerarchica (governo degli anziani) e statica. L’eccessiva sicurezza e garanzia ha condotto molti lavoratori delle grandi aziende a sedersi sugli allori consci del fatto che, lavorando bene o lavorando male, domani come oggi, lo stipendio ci sarebbe stato comunque e ciò ha infiacchito la struttura produttiva made in Italy di cui andiamo tanto fieri. Le bordate di neo-laureati sotto le fanfare del classico “studia che ti fai una posizione” (coltivato nell’Italia dei ’60 dove i pochi che erano riusciti a studiare avevano, per gli stessi motivi suddetti, una posizione garantita per diritto di essere “quei pochi che hanno studiato”. Quando “i pochi” sono diventati il 25/30% la garanzia inizia a scricchiolare), tutti con aspirazioni dirigenziali, si sono ritrovati senza posizioni libere e senza un sistema che selezionasse i più meritevoli.

Il sistema gerarchico e stabile ha finito creare una generazione di giovani con voglia di emergere ma senza possibilità di farlo, cresciuti convinti che le ore sui libri e i sabati in bianco sarebbero state ripagati in modo automatico da stipendi e posizioni principesche, alla ricerca di un lavoro in un mercato in generale declino, la cui statisticità gerarchica raramente avrebbe permesso di ricoprire cariche di rilievo in cui il sudato titolo fosse sfruttato a dovere; i neo-sovratitolati si sono quindi ritrovati costretti a ripiegare su lavori provvisori saturando il mercato dell’intelletto e finendo malpagati stagisti. In seno a tutto questo quindi è cresciuta una generazione lavorativa precaria per vocazione e malpagata per l’eccessiva offerta al fine di far da contrappeso alle garantite generazioni precedenti.

Ai giovani, e quindi a me stesso, rivolgo queste riflessioni: non cercate a tutti i costi un lavoro sicuro, cercatene uno appagante, la cui mobilità vi permetta di crescere, il cui compenso sia calibrato sul vostro lavoro perchè il vostro futuro non sarà imperniato ad un contratto che perde sempre più di valore e senso, ma alle vostre esperienze e alla vostra capacità di lavoratori.

Il problema nel mercato lavorativo odierno, in mia opinione, per i giovani non è tanto la mancanza di stabilità, ma anzi l’eccessiva stagnazione: la generale mancanza di investimento nella formazione, nella responsabilizzazione e, perchè no, nella ricompensa economica del sudato lavoro che sempre più è vittima di uno stillicidio al ribasso (proprio a causa della grande offerta di laureati disponibili).

Il nostro potere contrattuale non sta più nel contratto nazionale, inadeguato alle figure intelletuali del terzo millennio, ma sta nella nostra mente, nel non piegarci alle lusinghe di lavori che non ci ricompensino adeguatamente, che non nutrino ulteriormente il nostro cervello, ma ci inchiodino a guadagnare una frazione minuscola degli introiti che generiamo.

50 anni fa un operaio poteva comprare una casa con una 50ina di mensilità ed un dirigente di altissimo (CEO Fiat) profilo guadagnava 20 volte un operaio. Dopo tante lotte, oggi, un giovane laureato necessita di centinaia di mensilità per acquistare la sua casa, mentre la stessa posizione dirigenziale di un tempo garantisce stipendi proporzionalmente migliaia di volte superiori.
La forbice si è allargata, significa che il margine di guadagno c’è, dov’è finito se il nostro potere d’acquisto si è rarefatto e le nostre competenze moltiplicate? Nei giovani che chinano la testa accettando le condizioni della nuova schiavitù.


Inviatoci da Andrea Idini

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