Nell’opera Umano troppo umano, il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche scrive una tagliente sentenza a riguardo del cristianesimo (una tra le tante): «Quando la domenica mattina sentiamo rimbombare le vecchie campane ci chiediamo: “Ma è mai possibile!Suonano per un ebreo crocifisso duemila anni fa, che diceva di essere figlio di Dio!”»
Se il filosofo tornasse oggi e leggesse i nostri giornali probabilmente pronuncerebbe nuovamente questa sentenza,riferendola stavolta non più alle “vecchie campane” bensì alla nuova polemica suscitata in seguito alla disposizione della Corte Europea che prevede di togliere dalle scuole nientemeno che il simbolo di quell'ebreo crocifisso. 
Anche noi ci chiediamo: è mai possibile? E’ mai possibile che, tra i tanti problemi di cui l’Europa dovrebbe (e deve) occuparsi si pensi proprio a condannare quella prassi secolare della sua società, quella di affiggere il simbolo del cristianesimo, la croce? Ed è mai possibile che ci si accanisca così tanto sulla questione? Viviamo in stati laici, dunque dovremmo essere d’accordo con la sentenza della Corte. Perchè allora tanta opposizione che è arrivata, in alcuni casi, a promettere quasi fino alla morte la difesa del crocifisso? Per zelo religioso in puro stile ebraico oppure per semplice shock culturale? Per analizzare il problema dobbiamo dare due spiegazioni: che cosa rappresenta in sè il crocifisso e che cosa rappresenta agli occhi delle persone, sia di quelle che lo vogliono lasciare appeso, sia di quelle che lo vogliono appeso solo altrove. Ciò che rappresenta in sé è facilmente intuibile: è la rappresentazione del cuore del cristianesimo e cioè il sacrificio del dio che, per amore, nasce nel mondo come Gesù, Yeoshua di Nazaret e viene crocifisso a causa della malvagità umana, invitando tutti a prenderlo da esempio, a fare del sacrificio di sé finalizzato al bene altrui una radicale scelta esistenziale. Se è scelta implica un soggetto che prenda posizione, cosa che è in antitesi con il concetto di tradizione culturale che invece viene assimilata involontariamente. Dobbiamo allora capire come viene visto questo simbolo agli occhi di chi lo espone; occorre però fare prima una precisazione e cioè che, essendo stato il cristianesimo religione di stato per secoli, ha sempre affisso il simbolo della sua fede in tutti i luoghi della vita pubblica; questa è diventata un’abitudine che si è profondamente incarnata nella tradizione del popolo europeo. La differenza tra chi lo affiggeva perché profondamente convinto del messaggio che portava e chi lo affiggeva per convenzione, usanza o magari per scongiuro o ancor di più per sfruttarne il risvolto politico non era individuabile perché non era possibile professarsi pubblicamente non cristiani, figuriamoci rifiutare l’affissione del crocifisso nei luoghi pubblici. Oggi invece questo è possibile ed è anche possibile, per chi non abbraccia la prospettiva cristiana,vederlo come un semplice residuo di un’epoca passata. 
C’è allora chi lo vede come espressione della sua scelta esistenziale, chi come una normale tradizione del suo popolo, chi ancora come un simbolo dal quale non si sente rappresentato. La risposta allora non dovrebbe essere quella di togliere il crocifisso perché sentito come fastidioso o per risentimento personale (cosa che probabilmente ha influito sulla sentenza della Corte) né opporvisi perché si ha paura della scomparsa del cristianesimo dalla terra europea. Il problema infatti è che, se si espone un simbolo di fede, quindi di adesione esistenziale, in un luogo pubblico, significa che questo gesto è espressione della volontà delle persone che frequentano quel luogo; nel momento in cui, come nel nostro caso, ciò non corrisponde alla realtà perché la scelta esistenziale delle persone nei luoghi in questione non è la stessa, affiggere il crocifisso resta un gesto svuotato del suo scopo e cioè rappresentare una fede condivisa da tutti i membri che frequentano quelle mura. Ecco allora che rimane una semplice abitudine, consuetudine, tradizione. 
Chi crede nel crocifisso sa che questo deve essere affisso in primo luogo nell'intimo della propria persona; di conseguenza non sarà per lui un problema se, andando a scuola, non dovesse vederlo affisso nella parete frontale. E se addirittura dovesse essere l’unico a credere in quel simbolo, troverebbe estremamente coerente con l’ambiente la sua assenza. Allora si sforzerebbe di portarlo, non più nei muri ma, attraverso il suo esempio, nelle storie degli altri e non più in forma di legno ma in forma di vita.
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