Estratto di un racconto scritto da un amico,Alberto Patella.Una città costruita interamente in legno è minacciata dal divampare di un terribile incendio.Un misterioso eroe,intenzionato a risolvere il problema,si reca dalla regina della città che lo mette alla prova con una riflessione sul senso ultimo degli eventi accaduti.


La regina sorrise ancor di più,con quello sguardo colmo di affetto che può esserci tra un figlio ed una madre. Cambiò lievemente posizioni sul trono e iniziò il suo discorso. – La considerazione essenziale,riguarda principalmente i meccanismi generali al cui interno siamo coinvolti-.
Dopo una brevissima pausa,dove ella si schiarì la voce debole e stanca,tutto continuò :
-Osservando il mondo,spesso si nota la sua perfetta logica,come un meccanismo ben oliato. Le emozioni di noi esseri,le liti,l’amore,l’odio,gli eventi ed in generale ogni relazione della città,sembrano incastrarsi perfettamente tra loro. Tutto segue una sua logica,termine che non deve ingannarvi dal momento che non si tratta di qualcosa che possiamo comprendere nel suo sviluppo,ma solamente percepirne la presenza. Vi parlo,o miei sudditi, di una logica astratta,che vede anche negli errori,o i più grandi colpi di scena,come ad esempio il fatto che abbia elogiato proprio ora un servo che non conoscevo,collocarsi in un disegno complessivo del quale non vediamo mai la fine,ma che percepiamo come costante e invadente. Sia che si guardi la carestia imperversare,sia che ci si perda nella contemplazione di queste splendide linee naturali-,ed indicò la colonna proprio dietro di loro,-tutto sembra rientrare in un perfetto gioco di meccanismi,come un teatro dove agli attori viene lasciata la libertà di improvvisare su una parte già scelta in precedenza.
Compreso dunque,che i ruoli già li conosciamo,possiamo conoscere anche i confini del teatro in cui essi recitano?

A te,nostro salvatore,pongo questa domanda che ti accompagnerà nel tuo cammino,e ancora altri quesiti ho per te. Dunque nelle nostre azioni c’è un disegno,ma ciò vale anche quando vedo i miei sudditi morire per la fame? O quando un nostro fratello muore per malattia,o perché scivola da qualche torre di legno,o perché un terremoto,come in lontani giorni è successo,squarcia la nostra città o infine,perché le fiamme di un incendio enorme e perenne brucia i nostri corpi? Perché anche ciò ci affligge? L’incendio è un fenomeno totalmente svincolato dal nostro agire,eppure ne paghiamo le conseguenze,chiediamoci se c’è una logica dietro tutto questo. Vi dico allora,che occorre modificare il nostro modo di vedere le cose per capire da dove è nato l’incendio,cambiare il nostro punto di vista,infatti se si vuole sconfiggere una cosa,prima bisogna comprenderne la nascita. Vi dirò quindi come quella logica astratta di cui parlavo prima,può essere applicata anche per l’incendio infernale. Se ogni evento esterno al nostro volere,esterno alla  costruzione della città,si pone in relazione con noi esseri,ecco  che tutto prende forma,relazione che va ricercata nel fine degli eventi,e non nella causa. Non intendo assolutamente affermare che il fuoco sia venuto per portarci benefici per chissà quale motivo divino e imperscrutabile,esso ci uccide,ci sfinisce,e impariamo da lui solo morte. Dico però,che le fiamme nascono dallo stesso meccanismo che regola il nostro esistere in questa città,e il relazionarci ad essa. A questo punto le ipotesi sono due: o esseri e incendio camminano su due binari paralleli che non si incroceranno mai,oppure la strada è la stessa,ma noi siamo lentissimi a percorrerla e comprenderla,e l’incendio è così veloce nel suo avanzare,che non lo riconosciamo come legato a noi. C’è qualcuno tra di voi,dei più saggi e perspicaci,il quale afferma che gli dei creatori sono così vasti,crudeli,e tanto è il loro potere,che ignorerebbero perfettamente la scomparsa della nostra città e dei suoi abitanti,invece io vi dico che noi fratelli e il creato che ci circonda,siamo la stessa cosa. Si! Mi riferisco anche all’incendio. Solamente che noi siamo una manifestazione mille volte più complessa e quindi più lenta,rispetto al semplice fuoco distruttore. 

Noi ci autodefiniamo,siamo liberi di agire,e comprendiamo con lentezza ed erroneamente il gioco di meccanismi che ci sovrasta,il fuoco,invece,non si  autodefinisce,agisce,esso non è niente,brucia e basta. Una tale lontananza tra noi e l’incendio ci vede quindi, come figli di una stessa volontà che si respingono a vicenda,come una lotta tra due fratelli dove il più grande,è anche il più insensibile e stupido,ma anche il più forte,e per evitare che un giorno il proprio fratellino più debole,mille volte più intelligente ma ancora lento nel suo apprendere,possa spodestarlo,lo uccide. Per finire,vorrei paragonare ancora ciò che ho detto ad una grande opera di teatro,come se ne facevano un tempo. Sapete infatti,che il ruolo di un attore è molto più complicato del semplice addetto alle luci,chi improvvisa su una parte deve saper piangere,ridere,muoversi correttamente,e non è un caso che gli attori posseggano doti particolari a differenza di coloro che semplicemente si occupano di aprire e chiudere il sipario o accendere una determinata luce. Infatti,il pubblico comprende spesso unicamente il significato delle varie parti nella recita,pensa che l’accendersi di una luce,o la posizione di un cespuglio in un determinato luogo,siano solo casuali invenzioni scenografiche,non hanno alcun ruolo al fine di una corretta riuscita della rappresentazione. Eppure,per chi si intende un minimo di recitazione,ciò non è vero,anche gli aspetti diversi e meno comprensibili di un’opera teatrale hanno il loro ruolo,anche i meno complessi come il semplice cespuglio di cartone che sta alle spalle dell’attore. Ecco allora che per me gli esseri sono come gli attori,e l’incendio è come il cespuglio alle nostre spalle,o la luce che si accende,tutto frutto di uno stesso meccanismo artistico,mi rammarico solo del fatto che non esista un vero pubblico-.

Alberto Patella
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Quanto resta di genuinamente democratico nell'attuale sistema di governo italiano?

Prima di provare a rispondere con qualche considerazione alla nostra domanda, è il caso di dare qualche garanzia ai lettori: questo non è - avete la nostra parola - uno dei soliti articoli che parlano semplicemente di quanto poco sia democratico Berlusconi e il suo modus agendi; sebbene egli sia effettivamente ben poco democratico lo scopo di questa analisi politica non si esaurisce in questa contingenza.

Se, infatti, ci fermiamo al significato originario del termine democrazia come potere del popolo, sarebbe molto ingenuo affermare che sia colpa del solo Berlusconi se oggi il popolo ha perso parte del suo potere; basti pensare ai fatti del dopoguerra e della prima Repubblica. Dobbiamo dunque ammettere che nell'Italia postfascista la democrazia non è stata mai davvero tale fino in fondo. A una tale constatazione segue una seconda domanda: la colpa è solo delle varie circostanze sfavorevoli (la pressione delle potenze straniere prima, poi la corruzione a tutti i livelli e nei suoi più vari significati) oppure è il sistema ad essere strutturalmente inadeguato a garantire un'effettiva gestione dal basso del potere?
La domanda non è affatto scontata; sulla risposta che potremo darvi si gioca la sorta di tutta la retorica dell'attuale politica non solo dell'Italia ma dell'intero Occidente; essa è fondata sul mito dell'eccezionalità della democrazia occidentale, un' eccezionalità che legittima non solo il nostro diritto a difenderla, ma anche quello di esportarla altrove con la forza. E, dato che il modello occidentale di democrazia è generalmente quello rappresentativo (quello che si basa cioè sulla delega del potere dal popolo a un numero relativamente ristretto di rappresentanti eletti) e che questo - essendo anche il caso italiano - ci riguarda più da vicino, la nostra domanda può essere espressa più propriamente in questi termini: delle libere elezioni sono sufficienti a garantire una reale partecipazione del popolo nella gestione del potere?


Di questo tema parla diffusamente Amartya Sen ne "La democrazia degli altri"; nella nostra breve disamina proveremo a prendere come guida alcune illuminanti citazioni da questo testo.

"E' di cruciale importanza rendersi conto che la democrazia ha esigenze che vanno ben oltre quelle dell'urna elettorale[...]In realtà, le elezioni sono solo un modo - benchè sicuramente uno dei più importanti - per dare un'efficacia concreta ai dibattiti pubblici, ammesso che la possibilità di votare si accompagni a quella di parlare, e di ascoltare, senza paura. Il significato e il valore delle elezioni dipendono in modo sostanziale dalla possibilità di una discussione pubblica aperta. " capitolo I - "Democrazia e discussione pubblica", pagina 8.

Senza la possibilità per il popolo di informarsi sui temi caldi di governo, di discuterne liberamente e senza paura e, soprattutto, di influenzare direttamente con la propria opinione le decisioni dei governanti, l'essenza stessa della democrazia cade nel nulla. Il perchè è fin troppo ovvio. Una votazione che sia davvero razionale richiede determinate competenze sulle questioni che concernono la nazione: la pessima abitudine degli Italiani di votare "un partito per tutta la vita", di comportarsi nei riguardi della propria fazione politica come ci si comporta con la propria squadra del cuore, è quanto di più dannoso per la democrazia possa esserci.
Specie perchè se non si è abbastanza critici nei confronti delle stesse persone che noi, con il nostro voto, abbiamo eletto, il popolo perde qualsiasi controllo sull'operato effettivo dei suoi rappresentanti. Si può eleggere qualcuno in cambio di determinate garanzie e quelle garanzie possono venir disattese - e abitualmente lo sono; se per lo stesso elettore ciò non ha la dovuta importanza, se sottovaluterò le mancanze del "mio" partito politico e continuerò a rieleggerlo nonostante tutto per faziosità, sentimentalismo o semplice abitudine, gli stessi governanti si sentiranno in diritto di mantenere la loro pessima abitudine di ritenersi privi di qualsiasi dovere e responsabilità nei confronti del popolo. Ma questa è precisamente una forma di oligarchia, che di democratico non ha più null'altro che il nome.

Peggio ancora, poi, quando sono gli stessi governanti ad adoperarsi affinchè il popolo resti nell'ignoranza - per interesse o per la vecchia convinzione che  il popolo, come un eterno bambino, ha bisogno di essere guidato dall'alto con mano salda per il suo stesso bene.
Ci sentiamo di affermare che la gravissima manovra a danno dei siti internet a scopo informativo rientri appieno nel primo caso. Chiaramente nessuno di noi è a favore della "libera diffamazione". E' vero altresì che la formulazione di una simile norma, più che una tutela dei diritti di qualsiasi cittadino, sembra essere un cappio pronto a stringersi intorno al collo degli informatori di rete più molesti: chi di noi gestori di piccoli e medi blog o siti a scopo informativo può garantire al 100% di essere sempre in grado di eseguire una rettifica entro le 48 ore, in qualsiasi periodo dell'anno venga richiesta? E chi di noi potrebbe, essendo accusato ingiustamente o solo per qualche mero dettaglio formale di diffamazione, permettersi le spese legali che un'equa difesa comporta?
Probabilmente è di stampo simile l'intero Disegno di Legge sulle Intercettazioni, sebbene in questo caso la discussione sia molto più complessa dato che spesso da parte di una certa stampa è stato effettivamente violato il diritto alla privacy degli intercettati riguardo questioni non strettamente inerenti al risvolto politico o legale della faccenda (i quali invece, riguardando l'intera comunità, dovrebbero poter essere legittimamente pubblicati una volta rimosso il segreto.)


Una violazione sostanziale della democrazia ben più grave è rappresentata dall' estensione del Segreto di Stato anche a questioni che riguardano località e modalità della costruzione delle centrali nucleari : scelta presa probabilmente per evitare che il popolo potesse esprimere, a livello locale, la propria opposizione: doppiamente grave perchè da un lato ostacola la presa di consapevolezza proprio di chi sarà più coinvolto, perchè risiedente nel territorio interessato; dall'altro si oppone frontalmente ad una chiara e netta espressione della diffidenza popolare nei confronti di una tale forma di approvigionamento energetico (i referendum del 1987).

La stessa forma di deliberato disinteresse nei riguardi della volontà popolare è stata manifestata da ben due governi (si vedano al riguardo un intervento di Berlusconi e uno di Prodi) riguardo la annosa e dibattuta questione sulla TAV. In questo caso i cittadini si sono avvalsi del loro diritto (e dovere) di informarsi, discutere pubblicamente questioni di interesse locale e nazionale e di partecipare ad una sorta di confronto e deliberazione pubblica informale, quali forse possono essere considerate, in qualche modo, le mobilitazioni di massa. Ci sentiamo di dire che il popolo ha espresso abbastanza chiaramente la propria opinione al riguardo. Riteniamo del tutto antidemocratica la scelta di ignorare la volontà dei cittadini coinvolti - se non di tutti, perlomeno possiamo dire di una consistente fetta - e di ritenersi legittimati ad utilizzare addirittura la forza per garantirsi da qualsiasi opposizione diretta degli abitanti del territorio.

Detto ciò, crediamo di aver mostrato abbastanza chiaramente come delle elezioni pubbliche da sole non siano affatto garanzia di una forma di governo democratica. Anzi, riteniamo che attualmente la democrazia pura non trovi quasi nessuna applicazione in Occidente, e di certo non nei paesi con un sistema rappresentativo. Partendo da questo dato di fatto assodato, possiamo altresì ammettere che per gli Stati nazionali una vera e propria democrazia diretta (cioè in cui il popolo è chiamato a decidere direttamente delle leggi e delle loro applicazioni) presenterebbe ad oggi non pochi problemi - per decidere su determinate questioni serve senza dubbio una competenza che va oltre quella dell'attuale uomo medio. Per adesso non ci sono formulazioni efficienti della democrazia diretta, ma ciò non vuol dire che non se ne troveranno in futuro; pertanto, riteniamo che non dovremmo mai stancarci di aspirare a quella meta.

Per quanto riguarda l'attuale stato delle cose, siamo certi che anche in un sistema rappresentativo che voglia funzionare a dovere il governo eletto non debba mai trascurare il proprio legame con il popolo; e viceversa che il popolo non debba mai dimenticare di essere l'unico reale detentore del potere. Il diritto (nonchè dovere) all'informazione, alla discussione, alla deliberazione pubblica è fondamentale per qualsiasi Democrazia rappresentativa che voglia restare tale e salvaguardarsi da una deriva oligarchica altrimenti inevitabile.

Aaron Allegra.
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Continua da: "Un difetto di forza, di vita, di quello che chiamiamo cuore" - 1°
"Levin fu rafforzato in questa supposizione anche perchè aveva osservato che suo fratello non si prendeva affatto maggiormente a cuore le questioni del bene generale e dell'immortalità dell'anima, di quel che non avrebbe fatto per quelle d'una partita a scacchi o della ingegnosa struttura d'una nuova macchina."
 Anna Karenina, pag 366. - Lev N. Tostoj
Tolstoj non si limita solamente ad aprire e mostrarci un sentiero dell'animo umano.
Fa di più. Lo inizia a percorrere per noi. Ci mostra per primo quali sono i segni da osservare.
La cura del bene priva di forza, vita e cuore, ha una sintomo ben preciso che rafforza Levin nella sua supposizione nei riguardi del fratello.

Levin si accorge che per suo fratello "le questioni del bene generale e dell'immortalità dell'anima" non godevano di un posto privilegiato, quel posto cui solo il cuore porta le grandi questioni di ogni uomo e le erge ad essenziali.

  
A questo si rifaceva lo stesso Socrate a noi pervenuto per mezzo di Platone, quando insegnava ai giovani concittadini di occuparsi della cura delle virtù e non delle ricchezze, del corpo e delle vanità, perchè queste sarebbero nate di conseguenza.




 "Non dalla ricchezza nasce la   virtù, ma che dalla virtù deriva, piuttosto, ogni ricchezza e ogni bene, per l'individuo come per gli stati." 

Apologia di Socrate, Cap 17 - Platone



Il rischio cui ci espone una ricerca del bene unicamente intellettualistica è di non calibrare l'accento sulle questioni essenziali.

Un rischio più che mai attuale negli anni in cui la tecnica ha raffinato la sua efficacia anestetizzante, la quale ci permette di posticipare continuamente e per tutta la vita la ricerca da dedicare alle questioni esistenziali di ogni uomo.
Anche se riuscissimo ad anestetizzare il dolore che la mancaza di ricerca e di risposte provoca la vita chiede(rà) conto.
Evitare conseguenze che non siano frutto delle nostre scelte o che almeno non vibrino della nostra ricerca richiede quella forza di vita e di cuore cui Levin ci richiama.


"To live is the rarest thing in the world. Most people exist, that is all."
 L'anima dell'uomo sotto il socialismo - Oscar Wilde



Gabriele Pergola




In alto: "La virtù soggioga il vizio", Giambologna. Museo nazionale del Bargello, Firenze. Secolo XVI.

cfr. Anna Karenina - Lev N. Tostoj, pag 365-366. traduzione di Leone Gunzburg, editore: BUR Biblioteca Univ. Rizzoli. 2006
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