Le riflessioni connesse a Dio sono tra quelle con cui ognuno si è confrontato e si confronta. Il contributo che i filosofi hanno apportato lungo la storia è notevole e indubbiamente in ognuno sono seminate scaglie di verità. Spesso il compito del lettore è quello di ricostruire un’immagine non più integra.


Feuerbach è tra quei pensatori che ha contribuito special modo attraverso la rivisitazione del suo pensiero operata da Marx. Ci permette di dispiegare la ricerca provando e “riprovando” galileianamente (1) tesi e argomentazioni.



“Tu credi che l'amore sia un attributo di Dio perché tu stesso ami, credi che Dio sia un essere sapiente e buono perché consideri bontà e intelligenza le migliori tue qualità. […] l'esistenza di Dio, anche la fede nell'esistenza di un qualsiasi dio è un antropomorfismo, una proiezione assolutamente umana.
L'essenza del cristianesimo, Feuerbach

Il brano riesce ad essere emblematico del pensiero di Feuerbach, mettendo a fuoco il nocciolo della sua filosofia materialista, che Dio non esiste se non come illusione della coscienza e del pensiero umano, che proietta in esso i propri attributi.

Il sentimento di dipendenza dell’uomo è il fondamento della religione; l’oggetto di questo sentimento di dipendenza, ciò da cui l’uomo dipende, e si sente dipendente, non è per altro, originariamente, che la natura.
L’essenza della religione, Feuerbach

E’ bene fin da subito onde evitare un facile slittamento di binari, distinguere il “problema dell’esistenza di Dio” e il “problema sulle qualità di Dio”. Il primo problema naturalmente fa da substrato al secondo, seppur necessariamente emergano forti intersezioni tra i due.


Feuerbach prende una posizione netta riguardo a entrambi ponendosi nella posizione di chi nega l’esistenza di Dio. Non è Dio ad aver creato l’uomo bensì l’uomo ad aver creato Dio, il quale è un prodotto della coscienza umana e le qualità che a questo attribuiamo sono proiezioni di attributi umani resi perfetti. Focalizzato questo Feuerbach si chiederà il perché nasca l’idea di Dio soffermandosi su diverse analisi (distinzione individuo-specie, opposizione volere-potere, dipendenza di fronte alla natura).

Portato spesso a vessillo del “dover morale” di essere ateo, il pensiero di Feuerbach mostra però vizi non indifferenti.

La critica fondamentale che in tanti hanno mosso è di carattere metodologico che inficia e svuota le sue argomentazioni.
Feuerbach argomenta muovendo un’analisi di 
tipo psicologico che non confuta le tesi che la religione porta a suo favore ma cerca di minarla nelle fondamenta, commettendo però l’errore di screditare la possibilità che ha l’uomo di approcciarsi a Dio senza essere succube del carattere totalizzante dei suoi bisogni.
Quanto segue cecherà di mettere in luce quanto questo vizio fa perdere al discorso ogni valenza sul piano teoretico.


Ipotizziamo che sia veritiera la tesi feuerbacchiana per la quale è l’uomo a crearsi un Dio con tutte qualità umane. Così posto si dispiegano due scenari possibili:

   Il primo nel quale Dio effettivamente non esiste e non rimane altro che quanto detto da Feuerbach, cioè che Dio è solo il prodotto dell’uomo.

   Il secondo nel quale Dio effettivamente esiste e continua ad essere vera la tesi di Feuerbach, che l’uomo si crea attraverso la sua coscienza un Dio e gli attribuisce determinate qualità.

Che entrambi gli scenari siano concepibili senza contraddizioni logiche fa emergere il vizio di fondo che permea le argomentazioni di Feuerbach.


Il fatale inghippo nasce dalla sottaciuta ma implicita condizione necessaria per cui, riguardo a Dio è vero che un bisogno crea l’oggetto del desiderato, intaccandone l’ontologia.
Ma esplicitata, risulta evidente quanto accettare una simile condizione porti inesorabilmente a situazioni inconcepibili.

In ogni uomo esiste ed è direttamente percepibile la necessità di mangiare, la fame.
Secondo il 
modus agendi feuerbacchiano dovremmo sostenere che non c’è possibilità che esista del cibo perché sarebbe solamente frutto della nostra immaginazione, un miraggio, condizionato dal bisogno impellente di mangiare.
L’esempio mette chiaramente in luce come 
l’esistere non possa dipendere dai bisogni umani
Ragionevolmente si potrebbe sostenere che il mangiare da qualche parte possa –non debba- esistere, e mossi da questa possibilità intraprendere una ricerca.

Inoltre se è innegabile che esperire Dio è ben più difficile che esperire una persona, mai nessun innamorato ha pensato che l’esistenza del soggetto del proprio amore potesse dipendere dall’amore stesso che egli provava o dal bisogno che aveva di quella persona.
Chiaramente l’esempio non vuole avere carattere probativo ma aiuta a cogliere da diverse prospettive le contraddizioni ontologiche cui porta un metodo simile.

Altresì potremmo adoperare lo stesso metodo per ogni argomentazione che vuole sostenere una tesi riguardante l’uomo.
Le stesse tesi di Feuerbach potrebbero così essere soggette allo stesso trattamento.
Nessuno vieta di pensare che l’avversione di Feuerbach sia una pretesa d’indipendenza mossa dall’esigenza di sentirsi autonomi e autosufficienti, basti pensare alla nascita del peccato originale nella Bibbia per capire quanto arcaico e insito nella natura umana sia questo desiderio (a prescindere dalla propria aderenza al testo sacro è largamente condiviso il suo valore 
esistenziale). 
Ma non penso che Feuerbach si compiacerebbe se invece di giudicare le sue ragioni giudicassimo solamente il contesto da cui scaturiscono.

Naturalmente un discorso di questo genere non confuta le tesi di Feuerbach, come le tesi di Feuerbach non minano in alcun modo la possibilità di creare un discorso 
ragionevole su Dio.

Sintetizzando quanto detto fin ora:
  •  Le tesi di Feuerbach potrebbero valere anche nel caso in cui Dio esista.
  •  Il bisogno di qualcosa non può dirci niente di certo riguardo l’esistenza dell’oggetto desiderato, né tanto meno sulle qualità di questo.

Questo non dimostra che Dio esista, ma che questo modo di procedere non ci dice assolutamente niente riguardo l’esistenza o la non esistenza di Dio.

E’ comunque doveroso dover riconoscere al discorso sostenuto da Feuerbach (e da Marx che adopera lo stesso metodo) la capacità di metterci in guardia dal correre un rischio reale ma da cui possiamo preservarci. Proprio Feuerbach ci testimonia la possibilità di non essere necessariamente vincolati dai nostri bisogni e ha fiducia nella capacità di non essere succubi di questi.
Resta quindi il dovere di 
onestà intellettuale cui ci richiamano queste tesi, non essere avventati e superficiali come purtroppo oggi accade proprio nei discorsi di tanti credenti nei quali la fede e il rapporto con la religione più in generale è ormai cancrenizzato nell’abitudine e spesso ha perso la capacità di cogliere quanto c’è di rivoluzionario e di nuovo rispetto al modo di pensare del “vecchio uomo”.

Fa riflettere che la cosa più istintiva è quella di pensare che se si manifesta in me un bisogno probabilmente – ma non necessariamente - possa esistere qualcosa che lo soddisfi, sarà poi la mia ricerca a confermarmi o smentirmi.

Se oggi accade il contrario, la ratio di questo timore va ricercata tra ragioni dispiegate lungo la storia per le quali la religione è vista nel suo essere totalizzante come qualcosa di totalitario che al contrario di liberare l’uomo lo vincola a dei precetti.
Schiava di una “morale della legge” che non ha trovato la sua evoluzione in una “
morale della virtù” e del piacere.
In una logica nella quale i legami sono vincoli e non ponti per una maggiore consapevolezza, responsabilità e inevitabilmente libertà.



(1): Il riprovare galileiano ha senso letterale di “rigettare”, “scartare”. Questo gli ha fatto spesso attribuire il un carattere epistemologico pre-popperiano.







Gabriele Pergola
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