L’amicizia morale […] non si fonda su un patto esplicito, ma, sia che si faccia un dono, sia che si renda un qualsiasi altro servigio a qualcuno, glielo si fa in quanto amico: tuttavia, si pensa di meritare di ricevere altrettanto o di più, come se non si fosse fatto un dono ma un prestito; […].  
Chi può, dunque, deve contraccambiare il valore di ciò che ha ricevuto (non dobbiamo, infatti, farci uno amico contro la sua volontà; quindi, bisogna comportarsi come se ci si fosse sbagliati all’inizio e si fosse ricevuto del bene da chi non si sarebbe dovuto riceverlo, perché non era nostro amico né uno che lo facesse per il solo gusto di donare; bisognerà, quindi, ripagare colui che ci ha beneficati, come se ci fosse stato un patto esplicito). E l’accordo dovrebbe consistere nell’impegno di contraccambiare se si può: d’altra parte, neppure il benefattore lo esigerebbe, se l’altro non può. Cosicché, se è possibile, bisogna contraccambiare. Fin dal principio, però, bisogna badar bene alla persona da cui si riceve un beneficio ed a quali condizioni, per sottostarvi o rifiutarle."

Aristotele, Etica Nicomachea, Libro VI
  

   Per noi fortunati il periodo natalizio è sempre pieno di regali da fare o da ricevere. Questo come altri momenti che scandiscono le stagioni della vita ci ricordano di regalare qualcosa o di essere pronti all’arrivo di una piacevole sorpresa.
   In entrambi i casi spesso si tratta di dare o di ricevere qualcosa che non racchiude nella sua utilità il significato del dono.
Donare, a differenza di dare, ha una portata più ampia; una ricchezza che se coltivata porterà alla creazione di un movimento che lega il donatore al donatario.

Un contributo fondamentale a quello che Caillé chiamerà il terzo paradigma è ad opera di Godbout ne “Lo spirito del dono”. Entrambi gli studiosi attraverso le loro ricerche portano alla luce l’esistenza di un terzo sistema per la circolazione di beni e servizi, una terza via alternativa allo stato e al mercato, intermedia tra la retribuzione e lo scambio.
Se era evidente che questa terza via valesse nelle civiltà arcaiche, come mostrato dagli studi classici di Mauss, Levi-Strauss ed altri filosofi, il merito di Godbout è quello di averne rilevato i tratti nella società moderna, capitalistica ed utilitarista.

   Come Godbout stesso dimostra, portare alla consapevolezza l’esistenza di questo terzo sistema che già agisce nella nostra società è importante per rivalutare alcuni dogmi negativi della stessa, quali la naturalità dell’uomo come soggetto economico, il mito del profitto e l’egoismo come spinta alla base di ogni rapporto sociale.

Per intendere come questo sia possibile e cogliere l’essenza del dono, dovremo distinguere che nel volgare dare, donare, elemosinare ed altri termini vengono usati indifferentemente per indicare un atto di carità, ma noi ci appropriamo di alcune sfumature fondamentali da utilizzare al fine di cogliere a fondo i tratti distintivi del dono.

   In particolare la differenza tra elemosinare e donare rende conto di una importante diversità.
L’elemosina infatti, trova la sua messa in atto nel binomio dare-ricevere nel quale spesso il movente è la disuguaglianza economica o sociale, causa di un disagio a cui si cerca di sopperire. Pertanto lo spazio dell’elemosina è tutto definito all’interno della generosità (propriamente agape) e si conclude nell’atto stesso di dare.

   Il dono piuttosto è articolato in un movimento più ampio che include la triade “dare-ricevere-ricambiare”, messa a fuoco dall’antropologo francese Mauss nel famoso “Saggio sul dono” (1925). Mauss attraverso i suoi studi rende nota che nello spazio del dono entrano a far parte sia il legame che la reciprocità.
   Una reciprocità implicita che non ha pretesa di uguaglianza e per questo non snatura il dono della sua gratuita, focalizzando la possibilità di spezzare generosità e disinteresse, riuscendo a non contrapporre un fine alla gratuità, linfa del dono.

   Noi pervasi da un sistema capitalistico onnipresente, per salvarlo a questo e conservane la gratuità necessaria ci sentiamo obbligati a rifuggire la possibilità che possa esistere nesso tra un fine e il dono e quasi proviamo ripugnanza ad accostare le due cose.
Non riusciamo che a immaginare il dono puro, intriso di un amore ideale fuori da qualsiasi sistema e relazione sociale.
Ma poiché il dono non è mai ricompensa ad un merito o ad uno sforzo, la gratuità è e resta dominate, e con i giusti distinguo ci permette di trovare una valenza sociale che inconsapevolmente spesso sperimentiamo.

   Lo scambio a differenza del dono infatti, è inserito in una logica di tipo mercantile. Gode di un’agevole possibilità di exit, cioè la possibilità di uscire dal rapporto sociale nel momento in cui non si è più soddisfatti, di solito attraverso il pagamento(1). Il pagamento rientra proprio nella necessità di appagare il gap che si crea tra i soggetti, estinguendo immediatamente qualsiasi forma di debito.
Al contrario, attraverso il dono è come se noi stessi ci obbligassimo liberamente a ricambiare.

   La mancanza di pretesa riguardo a qualsiasi forma di garanzia e di modi e di tempi ci rassicura che la reciprocità non lo renda uno scambio mercantile, ma lo inserisca nel registro della filia, dell’amore scambievole.
Inoltre il più delle volte il dono ha un valore utile quasi nullo e pertanto non è altro che mediatore simbolico, un segno. Si pensi al valore aggiunto di una rosa o di un dono personalmente creato a discapito del valore di mercato.

   Il dono può naturalmente non essere accettato o ricambiato, o può essere ricambiato nelle possibilità e nei tempi che non dipendo affatto dal donatore. Questo sottolinea l’importanza del saper ricevere all’interno della triade, che matura nella capacità di saper attendere e nell’esser fiduciosi dell’altro, al tal proposito basti pensare l’importanza della fiducia in economia e nei sistemi finanziari che meriterebbero un discorso a parte.

   Proseguendo a sua volta, chi ha ricevuto tende a mettersi nella condizione di ricambiare donando anch’esso, cercando di ricambiare in misura maggiore, ricreando in modo invertito la disuguaglianza tra donatore e donatario.
Di questa disuguaglianza si ciba il legame che il dono crea, anzi il dono stesso diventa il legame.

   “Ma mentre il dono instaura e alimenta un legame sociale libero, il mercato libera tirandoci fuori dal legame sociale […] generando così l’individuo moderno, senza legame, ma pieno di diritti e di beni” (1).
Non è nei miei intenti demonizzare la libertà mercantile che ci permette, quando occorresse, di << badar bene alla persona da cui si riceve un beneficio ed a quali condizioni, per sottostarvi o rifiutarle >>(3).

   Inevitabilmente emerge la necessità di ritrovare una maggiore consapevolezza del dono, di ricreare una virtù del dono che si rifletta sulle altre sfere della società; creando una consapevolezza nuova, attraverso un’attesa che sia fiduciosa per rinnovate e dovute ragioni, attraverso la speranza. D’altra parte qualcosa l’abbiamo già ricevuta quando eravamo bambini, completamente affidati a chi ci circondava e gratuitamente, senza che avessimo merito alcuno, ci donava le sue attenzioni.(2)
Questo ci invita ad avere fiducia che qualcosa che vada oltre i nostri meriti possa ancora attenderci, nel natale.



Gabriele Pergola


(1): cfr. “Lo spirito del dono”, J. T. Godbout (con A. Caillé).
(2): cfr. “La stella dei Magi”, G. Savagnone, Elledici.
(3): cfr. “Etica nicomachea”, libro VIII, Aristotele.
[Leggi...]
"Ma voi pochi sublimi animi che solitarj o perseguitati su le antiche sciagure della nostra patria fremete, se i cieli vi contendono di lottar con la forza, perchè almeno non raccontate alla posterità i nostri mali? [...]- Se avete le braccia in catene, perchè inceppate da voi stessi anche il vostro intelletto di cui nè i tiranni nè la fortuna, arbitri d'ogni cosa, possono essere arbitri mai? Scrivete. Perseguitate con la verità i vostri persecutori. E poichè non potete opprimerli, mentre vivono, co' pugnali, opprimeteli almeno con l'obbrobrio per tutti i secoli futuri."
"Ultime Lettere di Jacopo Ortis" - Ugo Foscolo

Ugo Foscolo scrive le Ultime Lettere di Jacopo Ortis nei primi anni dell'800. Il suo riferimento polemico sono i dominatori stranieri e dispotici dell'Italia divisa, tanto gli Austriaci quanto i Francesi. Oggi, la situazione in apparenza sembra essere tutt'altra. L'Italia non (dovrebbe) più essere un paese diviso; nè tantomeno si dovrebbe più poter parlare di dispotismo. Questa citazione potrebbe apparire dunque anacronistica.
Non lo è.

Cortei. Referendum. Scioperi. Manifestazioni.
Qualsiasi forma di espressione del dissenso sembra non scalfire minimamente la pertinacia del potere nel raggiungere gli obiettivi che si è imposto e che, malgrado tutto e tutti, ha imposto alla nazione. Si potrebbe pensare alla riforma Gelmini, che sembra dirigersi inesorabilmente verso una definitiva approvazione, malgrado parallelamente e all'opposto la protesta divenga sempre più dura e generalizzata ogni giorno che passi.
Ma non si tratta solo di questo.
Inceneritori. Nucleare. Acqua pubblica. Esclusione dei condannati dal Parlamento e introduzione della preferenza diretta in sede elettorale. Tematiche vitali su cui il popolo si è espresso, a volte con un vero e proprio referendum, tanto chiaramente quanto invano. Negli ultimi anni abbiamo avuto un fior fiore di esempi altamente indicativi del distacco crescente tra gli eletti e gli elettori.

Nè si tratta solo della nostra Nazione. Potrei citarvi il trattato di Lisbona - in Irlanda, dato che il risultato del primo referendum non era gradito all'UE, si è pensato bene di ripeterlo a pochi mesi di distanza (?!). Potrei ricordarvi che lo stesso organismo esecutivo dell'UE - la Commissione - non viene eletta direttamente da noi cittadini membri. Ma scrivere più di questi pochi cenni sarebbe ridondante e mi porterebbe fuori tema - pertanto spero che vi bastino; se così non è, ciascun lettore potrà, volendo, approfondire da sè.
Insomma, la situazione italiana ed europea oggi non si presenta rosea, per chi avesse la velleità di esprimere in modo costruttivo il proprio dissenso nei confronti dell'ordine costituito. Che valore hanno parole come "senso civico" in un mondo che sembra spingerci sempre più ad occuparci unicamente della nostra piccola sfera privata? E ammesso che ce l'abbiano ancora, un valore, come dare ad esse la necessaria forza d'impatto per incidere sulla realtà concreta, dato che nè il numero dei manifestanti nè la giustezza della causa nè l'intensità dei differenti modi di esprimere il dissenso sembrano poter provocare alcun effetto?

Foscolo, che scrisse in tempi di certo non più facili dei nostri, ci dà una risposta attualissima. Ciò che malgrado tutto, malgrado il potere dei "coltelli" in mano a despoti e tiranni e l'onnipervasiva resistenza della "fortuna" e delle contingenze storiche non può essere soggiogato, è la forza liberatrice della scrittura.
Non solo la scrittura è capace, in quanto espressione artistica, di dare eternità tramite la perfezione della forma ai valori etici alla base di qualsiasi civiltà degna di essere.
La scrittura è anche, e più radicalmente ancora, la forza del pensiero espresso. Un pensiero che deve essere tanto più libero quanto più le circostanze esterne sembrano critiche. Perchè nessun potere e nessun tiranno può impedirci di pensare diversamente. Solo ciascuno di noi può "inceppare da sè stesso il proprio intelletto" - e proprio rassegnandosi, lasciandosi vincere dall'impotenza o peggio ancora dalla pigrizia e dal comodismo, o dalla paura dell'incomprensione altrui.
L'abitudine e il coraggio di pensare rendono profondamente, e irrevocabilmente, liberi. Qualunque sia il peso delle imposizioni esterne. E un pensiero libero può diventare tanto più forte nella comunicazione agli altri e ai posteri, nell'espressione scritta, o orale. Un pensiero libero può a sua volta liberare chi ci circonda, purchè sia figlio della verità, principale e perenne nemica dell'interesse egoistico dei tiranni di ieri e di oggi. 

[Leggi...]