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Quanto resta di genuinamente democratico nell'attuale sistema di governo italiano?

Prima di provare a rispondere con qualche considerazione alla nostra domanda, è il caso di dare qualche garanzia ai lettori: questo non è - avete la nostra parola - uno dei soliti articoli che parlano semplicemente di quanto poco sia democratico Berlusconi e il suo modus agendi; sebbene egli sia effettivamente ben poco democratico lo scopo di questa analisi politica non si esaurisce in questa contingenza.

Se, infatti, ci fermiamo al significato originario del termine democrazia come potere del popolo, sarebbe molto ingenuo affermare che sia colpa del solo Berlusconi se oggi il popolo ha perso parte del suo potere; basti pensare ai fatti del dopoguerra e della prima Repubblica. Dobbiamo dunque ammettere che nell'Italia postfascista la democrazia non è stata mai davvero tale fino in fondo. A una tale constatazione segue una seconda domanda: la colpa è solo delle varie circostanze sfavorevoli (la pressione delle potenze straniere prima, poi la corruzione a tutti i livelli e nei suoi più vari significati) oppure è il sistema ad essere strutturalmente inadeguato a garantire un'effettiva gestione dal basso del potere?
La domanda non è affatto scontata; sulla risposta che potremo darvi si gioca la sorta di tutta la retorica dell'attuale politica non solo dell'Italia ma dell'intero Occidente; essa è fondata sul mito dell'eccezionalità della democrazia occidentale, un' eccezionalità che legittima non solo il nostro diritto a difenderla, ma anche quello di esportarla altrove con la forza. E, dato che il modello occidentale di democrazia è generalmente quello rappresentativo (quello che si basa cioè sulla delega del potere dal popolo a un numero relativamente ristretto di rappresentanti eletti) e che questo - essendo anche il caso italiano - ci riguarda più da vicino, la nostra domanda può essere espressa più propriamente in questi termini: delle libere elezioni sono sufficienti a garantire una reale partecipazione del popolo nella gestione del potere?


Di questo tema parla diffusamente Amartya Sen ne "La democrazia degli altri"; nella nostra breve disamina proveremo a prendere come guida alcune illuminanti citazioni da questo testo.

"E' di cruciale importanza rendersi conto che la democrazia ha esigenze che vanno ben oltre quelle dell'urna elettorale[...]In realtà, le elezioni sono solo un modo - benchè sicuramente uno dei più importanti - per dare un'efficacia concreta ai dibattiti pubblici, ammesso che la possibilità di votare si accompagni a quella di parlare, e di ascoltare, senza paura. Il significato e il valore delle elezioni dipendono in modo sostanziale dalla possibilità di una discussione pubblica aperta. " capitolo I - "Democrazia e discussione pubblica", pagina 8.

Senza la possibilità per il popolo di informarsi sui temi caldi di governo, di discuterne liberamente e senza paura e, soprattutto, di influenzare direttamente con la propria opinione le decisioni dei governanti, l'essenza stessa della democrazia cade nel nulla. Il perchè è fin troppo ovvio. Una votazione che sia davvero razionale richiede determinate competenze sulle questioni che concernono la nazione: la pessima abitudine degli Italiani di votare "un partito per tutta la vita", di comportarsi nei riguardi della propria fazione politica come ci si comporta con la propria squadra del cuore, è quanto di più dannoso per la democrazia possa esserci.
Specie perchè se non si è abbastanza critici nei confronti delle stesse persone che noi, con il nostro voto, abbiamo eletto, il popolo perde qualsiasi controllo sull'operato effettivo dei suoi rappresentanti. Si può eleggere qualcuno in cambio di determinate garanzie e quelle garanzie possono venir disattese - e abitualmente lo sono; se per lo stesso elettore ciò non ha la dovuta importanza, se sottovaluterò le mancanze del "mio" partito politico e continuerò a rieleggerlo nonostante tutto per faziosità, sentimentalismo o semplice abitudine, gli stessi governanti si sentiranno in diritto di mantenere la loro pessima abitudine di ritenersi privi di qualsiasi dovere e responsabilità nei confronti del popolo. Ma questa è precisamente una forma di oligarchia, che di democratico non ha più null'altro che il nome.

Peggio ancora, poi, quando sono gli stessi governanti ad adoperarsi affinchè il popolo resti nell'ignoranza - per interesse o per la vecchia convinzione che  il popolo, come un eterno bambino, ha bisogno di essere guidato dall'alto con mano salda per il suo stesso bene.
Ci sentiamo di affermare che la gravissima manovra a danno dei siti internet a scopo informativo rientri appieno nel primo caso. Chiaramente nessuno di noi è a favore della "libera diffamazione". E' vero altresì che la formulazione di una simile norma, più che una tutela dei diritti di qualsiasi cittadino, sembra essere un cappio pronto a stringersi intorno al collo degli informatori di rete più molesti: chi di noi gestori di piccoli e medi blog o siti a scopo informativo può garantire al 100% di essere sempre in grado di eseguire una rettifica entro le 48 ore, in qualsiasi periodo dell'anno venga richiesta? E chi di noi potrebbe, essendo accusato ingiustamente o solo per qualche mero dettaglio formale di diffamazione, permettersi le spese legali che un'equa difesa comporta?
Probabilmente è di stampo simile l'intero Disegno di Legge sulle Intercettazioni, sebbene in questo caso la discussione sia molto più complessa dato che spesso da parte di una certa stampa è stato effettivamente violato il diritto alla privacy degli intercettati riguardo questioni non strettamente inerenti al risvolto politico o legale della faccenda (i quali invece, riguardando l'intera comunità, dovrebbero poter essere legittimamente pubblicati una volta rimosso il segreto.)


Una violazione sostanziale della democrazia ben più grave è rappresentata dall' estensione del Segreto di Stato anche a questioni che riguardano località e modalità della costruzione delle centrali nucleari : scelta presa probabilmente per evitare che il popolo potesse esprimere, a livello locale, la propria opposizione: doppiamente grave perchè da un lato ostacola la presa di consapevolezza proprio di chi sarà più coinvolto, perchè risiedente nel territorio interessato; dall'altro si oppone frontalmente ad una chiara e netta espressione della diffidenza popolare nei confronti di una tale forma di approvigionamento energetico (i referendum del 1987).

La stessa forma di deliberato disinteresse nei riguardi della volontà popolare è stata manifestata da ben due governi (si vedano al riguardo un intervento di Berlusconi e uno di Prodi) riguardo la annosa e dibattuta questione sulla TAV. In questo caso i cittadini si sono avvalsi del loro diritto (e dovere) di informarsi, discutere pubblicamente questioni di interesse locale e nazionale e di partecipare ad una sorta di confronto e deliberazione pubblica informale, quali forse possono essere considerate, in qualche modo, le mobilitazioni di massa. Ci sentiamo di dire che il popolo ha espresso abbastanza chiaramente la propria opinione al riguardo. Riteniamo del tutto antidemocratica la scelta di ignorare la volontà dei cittadini coinvolti - se non di tutti, perlomeno possiamo dire di una consistente fetta - e di ritenersi legittimati ad utilizzare addirittura la forza per garantirsi da qualsiasi opposizione diretta degli abitanti del territorio.

Detto ciò, crediamo di aver mostrato abbastanza chiaramente come delle elezioni pubbliche da sole non siano affatto garanzia di una forma di governo democratica. Anzi, riteniamo che attualmente la democrazia pura non trovi quasi nessuna applicazione in Occidente, e di certo non nei paesi con un sistema rappresentativo. Partendo da questo dato di fatto assodato, possiamo altresì ammettere che per gli Stati nazionali una vera e propria democrazia diretta (cioè in cui il popolo è chiamato a decidere direttamente delle leggi e delle loro applicazioni) presenterebbe ad oggi non pochi problemi - per decidere su determinate questioni serve senza dubbio una competenza che va oltre quella dell'attuale uomo medio. Per adesso non ci sono formulazioni efficienti della democrazia diretta, ma ciò non vuol dire che non se ne troveranno in futuro; pertanto, riteniamo che non dovremmo mai stancarci di aspirare a quella meta.

Per quanto riguarda l'attuale stato delle cose, siamo certi che anche in un sistema rappresentativo che voglia funzionare a dovere il governo eletto non debba mai trascurare il proprio legame con il popolo; e viceversa che il popolo non debba mai dimenticare di essere l'unico reale detentore del potere. Il diritto (nonchè dovere) all'informazione, alla discussione, alla deliberazione pubblica è fondamentale per qualsiasi Democrazia rappresentativa che voglia restare tale e salvaguardarsi da una deriva oligarchica altrimenti inevitabile.

Aaron Allegra.
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