Quale che sia la superiorità intellettuale di un uomo, non può mai
assumere una supremazia pratica e utile sugli altri, senza l'aiuto di qualche
artificio o schermo, che in sé sarà sempre più o meno basso e meschino. E’
questo che tiene sempre lontani dalle campagne elettorali i veri principi di
Dio e dell’Impero; e lascia che i più alti onori che questo nostro mondo può
dare vadano a quelli che si rendono famosi più per la loro infinita inferiorità
a quel segreto e scelto manipolo della Divina Inerzia, che non per la loro
indubbia superiorità sul livello morto della massa.
Herman Melville – Moby Dick,
cap.33
Un gruppo di ubriaconi, sbandati.
Insieme a loro, come un principio ordinatore, Janos Valuska. Si è deciso a
spiegare il processo che origina il fenomeno dell’eclissi solare. Ecco allora
che un uomo, posto al centro della stanza, diventa il sole. Altri due verranno
guidati nei movimenti della Terra e della Luna. Poi l’oscurità. Ma dura solo un
momento, non c’è da temere, la danza cosmica può riprendere. Risuona una
musica, che sia l’armonia delle sfere? L’orecchio è sicuro, l’occhio vede dei
vecchi che imitano dei corpi celesti in modo stanco e goffo, qualche dubbio ce
l’ha. Ma basta, il locale deve chiudere.
Che succede in paese? E’ in
arrivo un tale, Il Principe; promette di mostrare la più grande balena del
creato e altre meraviglie. I cittadini si dividono tra eccitazione e paura,
corrono strane voci, c’è chi dice che la balena non ha nulla a che vedere col
resto, c’è chi dice che è la causa di tutto. Ciò non concerne il filosofo
Eszter, occupato a indagare su uno “scandalo accettato da secoli e particolarmente
sconfortante”. Ai tempi di Pitagora si utilizzavano solamente le sette note e
si accordava in modo naturale, non c’era pretesa di musica divina. In seguito
si è diventati superbi, Werckmeister ha ultimato la scomposizione in semitoni e
l’invenzione di un sistema di accordatura che permette di suonare in tutte le
tonalità. Ogni singolo accordo di un capolavoro musicale è basato sull’inganno.
I più insicuri lo chiamano compromesso. Nel limite, però, l’alta magia sonora
si perde, tutt’al più stride. Dilemma.
Janos è più interessato
all’enorme container giunto in piazza. Sarà l’unico, tra la folla di curiosi,
che oserà entrare. Il resto lo lascio a chi avrà la voglia di accompagnarlo.
Béla Tarr, regista ungherese
contemporaneo, nel lontano 2000 regalò al mondo questo film. Va detto, la sua
precedente filmografia è un’onesta dichiarazione di stile e di intenti, quei
pochi che l’avessero seguito si sarebbero potuti dire preparati a tutto. Insomma,
prima di questo è venuto Sátántangó, lungometraggio
dall’invereconda durata di 435 minuti. Per i molti, troppi ahimè, che non lo
sanno: cosa ci si deve aspettare? In termini di forma, innanzitutto una
fotografia in bianco e nero nebbiosa, attenta in particolare ad evidenziare per
eccesso di ombre. Lunghissimi, quasi inconcepibili, piani-sequenza che svolgono
la funzione di dilatare il tempo della narrazione affinché lo spettatore non la
percepisca più come tale, ma piuttosto come una realtà vera e propria(esemplari
le scene dove si seguono i personaggi per lunghe camminate). Ma soprattutto, in
onore o in beffa dell’argomento del titolo, una colonna sonora così bella da
ferire l’anima; opera del compositore Mihály Vig, che aveva collaborato con
Tarr già in Damnation e Sátántangó (qui anche come attore).
Per quel che riguarda i
contenuti, è ferma convinzione di chi scrive che non si possa in alcun modo
arrivare preparati alla visione. Il film mira a cogliere lo spettatore senza
difese e ci riesce così bene, nell’utilizzo dei soli mezzi cinematografici, che
anche leggere una descrizione dettagliata degli eventi non cambierebbe di molto
le cose. E’ chiaro che non bisogna essere in cerca di una trama avvincente, non
si tratta di mero intrattenimento. E’ possibile rimanere intrigati dalla
vicenda, così come annoiati, in relazione a particolari frangenti. Chi è Il
Principe? Cosa rappresenta la balena? Nella terrificante cornice data dall’esercizio
di un potere egemone, si viene messi a fronte di diversi quesiti, espliciti e
non, su temi che spaziano dal rapporto tra uomo e natura alla crisi
dell’autenticità umana. E ancora l’inconoscibile, l’indicibile, la malinconia
data dalla testimonianza dell’essere: tutti elementi propri della poesia.
Inutile quindi fare una parafrasi, cercare di spiegare o trasmettere la
dolorosa emozione che è possibile provare in certi momenti della pellicola
Durante un festival, dopo la
proiezione, qualcuno chiese “Dov’è la speranza?”, Tarr rispose “La speranza è
che voi vediate questo film”.
10 maggio 2013 alle ore 01:31
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